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martedì 29 giugno 2010

Come incontrare la vergogna ad un semaforo.

Oggi sono andato a Milano per un colloquio di lavoro. Con la mia bella macchinina grigia sono arrivato a Bresso, relativamente presto. Viaggio tranquillo senza traffico, musica alla radio e aria condizionata. Tutto ok. Al semaforo per girare verso Villa San Giovanni un ragazzo di circa trent'anni, sicuramente straniero, senza una gamba, mal vestito e sporco si avvicina. Infastidito lascio il pedale della frizione e la macchina avanza di quei pochi cm, utili a scartarlo. Svuoto la testa. Semaforo verde, riparto. Svolto  a destra e ritrovo un altro semaforo rosso. Mi fermo. Mi ritrovo un signore anziano, italiano, con il bastone e il passo malfermo che dal finestrino mi dice: "Figliolo, avresti qualche moneta? E' da ieri che non mangio". Porca merda, non ho moneta. Ho i soldi ma non ho moneta. Ho due pezzi da cinquanta euro ma, cazzo!, non posso permettermi di donare cinquanta euro. Lo guardo con un sorriso di imbarazzo e vergogna e, scusandomi, dolcemente lascio la frizione per far scivolare via la macchina e buttare il vecchietto nel pozzo dei ricordi dimenticati. Non funziona.

Arrivo a Villa San Giovanni, posteggio e mi sento una merda. Mi vergogno come un cane di quello che ho fatto. Mi vergogno anche di essermi infastidito per il ragazzo senza gamba. Ho lo stomaco che mi si contorce e mi viene quasi da vomitare. Ho l'impulso di comprare dei panini e tornare indietro ma non posso, devo andare in centro per dare una svolta alla mia vita. In metropolitana penso e ripenso. Sono anche io uno stupido razzista? Invece di provare pietà per un cristo senza una gamba mi sono infastidito! Al posto del cuore ho un cumulo di merda. Poi ci ho riflettuto un po'. No, non mi hanno infastidito il ragazzo senza gamba o il vecchietto con il bastone. Mi ha terrorizzato il fatto di non poterci fare nulla. Mi sono vergognato di vivere in un mondo che permette simili umiliazioni. I miei cinquanta euro non avrebbero cambiato niente. Avrebbero mangiato due giorni, ok ma dopo? Sarebbero ritornati lì, magari avrebbero cambiato incrocio. Ho ragionato un attimo e mi sono scagionato. No, non sono razzista, ok. Non mi è bastato, però, per sentirmi meglio.

lunedì 28 giugno 2010

Aldo Brancher: le deleghe? Quelle che sono scritte... appena mi salvo il culo le leggerò!

E' di questi giorni la notizia che Aldo Brancher è stato nominato Ministro per la Sussidiarietà e il Decentramento. Non ho la più vaga idea di che cosa si occupi il suddetto Ministero ma sarà sicuramente qualcosa di importante e, se non lo so, sarà colpa mia che non mi tengo informato. La cosa che mi lascia basito è, che nemmeno l'avvocato del processo nel quale è imputato Brancher, abbia ben capito che carica ricopra il Ministro.

 

A essere sincero non è che le spiegazioni fornite da Brancher, riguardo il suo incarico istituzionale, mi chiariscano la sua posizione. Anzi, se possibile, contribuiscono a confondermi.



Ora, non è che mi aspettassi una dettagliata descrizione della funzione del Ministero per la Sussidiarietà e il Decentramento. Non nego che avrei apprezzato sapere almeno una delega, una sola... giusto per capire cosa lo hanno messo a fare lì.

La carriera professionale di Brancher parte con Famiglia Cristiana e arriva in Fininvest, in Forza Italia e poi nel Popolo delle Libertà. Da qui in poi, vince un master di 3 mesi a San Vittore nell'inchiesta Mani Pulite. E' stato condannato con giudizio in primo grado e in appello per falso in bilancio e finanziamento illecito ai partiti. In Cassazione il secondo reato cade in prescrizione, mentre il primo viene depenalizzato dal governo Berlusconi. Viene indagato per ricettazione nello scandalo della Banca Antonveneta. In virtù di cotanto Curriculum viene nominato Ministro senza portafoglio (visto i casini che ha fatto... chi cazzo si fida a dargli un portafoglio a un personaggino simile?).

Ovviamente appena eletto invoca il legittimo impedimento per poi rifiutarlo, in seguito allo scandalo sollevato in ambito politico. Io continuo a chiedermi come abbia fatto ad arrivare fin dove è arrivato e, a differenza dei suoi colleghi di partito, non vedo la rinuncia come un grande esempio di correttezza come dice la Gelmini.

Anzi, secondo me, è probabile che abbia rinunciato, meglio, sia stato costretto a rinunciarci, perchè se si materializzasse l'ipotesi per cui il legittimo impedimento sia utilizzabile solo per chi presiede un dicastero con "portafoglio", ne conseguirebbe che tutto il casino farebbe decadere il legittimo impedimento anche per il Presidente del Consiglio, che per inciso non ha alcun portafoglio. E se questa ipotesi fosse stata ufficializzata, Berlusconi si sarebbe trovato in casini indicibili...
Correggetemi se sbaglio!

Chiudo con una citazione dell'amico Layos:

"Comunque io sto con Aldone Brancher, ha fatto bene a provarci, d'altra parte c'e' gente che li vota e li vota e li rivota per quante porcate facciano. Quindi è giusto approfittarne a piene mani per più che si può. Se uno ti telefona per sapere che numeri usciranno al lotto e tu in cambio ti fai dare dei soldi sei un furbone, non un profittatore. Tanto più se questo pensa che non siano usciti perchè un cucchiaio di sale non si scioglie in un bicchiere d'acqua. Allo stesso modo se uno ti chiede il voto per salvarsi il culo dalla galera o rendere floridi i conti della sua azienda e tu glielo dai non è una truffa, ma un colpo di genio".

domenica 27 giugno 2010

Delirio delle 4 di mattina (Il giardino dei Sagittari impossibili suicidi)

Sono le quattro di mattina ed io sono qui a scrivere. Non ho sonno e prima di scrivere questo post, ho scritto pagine e pagine su emozioni e stati d'animo che mi stanno divorando in questi ultimi giorni. Ieri, per la persona che mi sta accanto, è stata una giornata particolare. Di conseguenza è stata una giornata particolare anche per me. Ci sono state forti ricadute di allergia alla tristezza. La serata ha lasciato spazio a qualche frase dettata più dallo sconforto del momento che da un reale panico. Un po' si è pianto, un po' si è stati malinconici, taciturni, depressi il giusto e alla fine qualche sorriso. Prima di andare a dormire c'è stato un abbraccio che mi-ci ha riappacificato con il mondo. Quel vuoto immenso l'abbiamo riempito di silenzi, fiori, canzoni, sorrisi e lacrime. Giusto che sia così, forse. Ci sono stati giorni di merda. Ci saranno altri giorni di merda. Probabilmente ce ne saranno anche di peggiori. Che dire? Se arriveranno ci faremo trovare pronti. Di sicuro io avrò il mio arco e tu ti farai scudo con i cocci del tuo segno zodiacale. Se poi soccomberemo, pazienza. Basta che sia insieme, mano nella mano. Com'è che era quella dell'anonimo saggio? Mi è bruciato il tetto. Ora posso finalmente vedere le stelle.

Lo sò, le cose bisognerebbe dirsele sempre. Io spesso le tengo dentro e le comprimo, sperando che la pressione immane le trasformi in diamanti. A volte mi sembra di riuscirci, così ripesco nel passato i miei piccoli diamanti, passati inosservati come due occhi color di fiume in una folla immensa. Li ripesco con le mani e li dedico a te. Sono diamanti dei poveri, non saranno mai pietre preziose da portare al dito ma so che per te valgono molto, molto di più.

Saperti in pianto mi sconforta
Ma anche mi allieta 
Perché quando smetterai le lacrime 
Assaporerai nuovamente e con più intensità 
Il piacere del sorriso
(continua...)

sabato 26 giugno 2010

Fenomenologia del calcio di rigore: l'importanza della scelta.

Capita che, mastruzzando in vecchi cassetti o su polverosi scaffali, salti fuori una vecchia fotografia con i colori un po' ingialliti. Undici ragazzetti con improbabili capelli a caschetto, una maglia rossa (quella del portiere è verde) e pantaloncini neri. Cinque appollaiati e sei dietro in piedi, con le braccia incrociate sul petto. Sembrano i guerrieri in terracotta, meno inquietanti con quel sorriso  fiducioso nel futuro. Osservando meglio rimane il dubbio che quel sorriso sia più una smorfia dovuta al sole dritto negli occhi. Io sono il penultimo da destra appollaiato. Avevo dodici anni. E' una foto storica. Quella squadra ha vinto per quattro anni consecutivi il campionato degli oratori. Era una sorta di macchina perfetta. In porta un estremo difensore  che, con la sua panzetta non ci davi due lire, era una saracinesca che ogni tanto si concedeva qualche goal al limite del ridicolo. La difesa era insuperabile e mirabilmente assortita. Un centrocampo con due centrali figli di un fabbro (e si vedeva per quanto menavano senza scrupoli o tentennamenti); un ala sinistra che sembrava un freccia rossa e io ala destra. In avanti due punte: un ariete indomito al quale qualcuno prospettava, a ragione, un grande futuro e un cavallo pazzo, come seconda punta, che faceva più km di un tir.
 
Gli undici di quella squadra hanno fatto strade tutte differenti. Per tre, purtroppo, il percorso si è interrotto troppo presto. Un centrocampista centrale si è perso tra siringhe e troppi dubbi. Il portiere è stato disarcionato in Spagna dalla sua moto. Il cavallo pazzo si è perso una sera nella nebbia, tornando dalla moglie e dal piccolo di nemmeno tre anni. L'ala sinistra lavora come geometra ma  la sua velocità è un lontano ricordo. Il terzino sinistro fa l'elettricista e ogni tanto ci incontriamo. I due difensori centrali non ho idea di che fine abbiano fatto. Il terzino destro si è sposato ed è andato a vivere in Toscana con la moglie. L'altro centrocampista centrale è ingegnere. Io sono qui e l'ariete indomito, al quale prevedevano un grande futuro, bé... ha fatto il botto come giocatore di calcio. Ora è un ex ma ha indossato anche la casacca della Nazionale. Detto per inciso è da quell'anno in squadra insieme che non lo vedo più.
 
Riguardando quella foto ho ripensato alla nostra ultima partita insieme. Penultima di campionato. Stiamo pareggiando due a due. Se vinciamo,  sarebbe il quinto campionato consecutivo. Manca poco alla fine della partita. Stiamo subendo, la palla è al limite della nostra area. Con passo da giannizzero il difensore centrale carica il trequartista che va in confusione. Un rimpallo fa schizzare la palla verso la nostra destra. La recuperiamo. Il terzino sale ed io, con il fiato che mi resta, decollo verso l'attacco.  Sento il mister urlare: corricorri!! Io corrocorro, cristo come corro, rallento e vedo la palla arrivarmi addosso. La stoppo e mi giro. Scarto il difensore, mi si apre un corridoio enorme verso la porta. E' il mio momento!! Ancora due passi e tiro una mina che spacco tutto. Rallento, carico il piede destro... e patapam! mi ritrovo mezzo rintronato con la polvere in bocca, un piede dolorante e con le ossa mischiate. Il portiere è uscito a valanga e mi ha centrato in pieno. Sono spaesato. Controllo di avere ancora tutto. Due braccia, due gambe... direi di sì, tutto ok. Ho un labbro ammaccato ma E' RIGORE.
 
Io sono il rigorista ufficiale della squadra. Vado sul dischetto. Che faccio? Lo tiro a destra, come al solito. Il portiere mi conosce sa che tirerò a destra. Che faccio, tiro a sinistra? Il portiere mi conosce, sa che io so che lui sa che li tiro tutti a destra, perciò si butterà a sinistra. Che casino. Se lui sa che io so che lui sa che li tiro tutti a destra, e perciò sa che so che si butterà a sinistra, io lo tiro a destra. Ma se lui sa che io so che lui sa che li tiro tutti a destra, e perciò so che si butterà a sinistra, è ovvio che si butterà a destra. Destra o sinistra? Dove la tiro? Quella, tutt'ora, è stata una delle scelte più difficile di tutta la mia vita. Ogni volta che ho fatto qualcosa di importante, un esame all'università o un colloquio di lavoro, la notte prima mi sognavo all'altezza del calcio di rigore con il pallone fra le mani. Lo tiro a destra o lo tiro a sinistra? La differenza è sostanziale, può essere goal e gloria o una parata e il fallimento. E mi sogno sempre lì, solo dentro l'area con davanti un pallone e la porta, con un portiere a difenderla. L'arbitro fischia, io faccio un respiro profondo e prendo la rincorsa. Tre passi, due, uno, sono sul piede d'appoggio mentre carico il destro e trattengo il fiato... Succede sempre che quando impatto con il pallone mi sveglio. Forse che l'importante non è fallire o segnare, ma prendersi la responsabilità di quella dannata scelta?

 

venerdì 25 giugno 2010

Fuochi d'artificio (at the Royal Villa of Monza)

Il titolo del post non ha nulla a che vedere con la prestazione dell'Italia contro la Slovacchia. Non mi va di parlare di calcio, di un gioco che, a colpi di miliardi, ha perso il suo aspetto ludico e di divertimento. Mi piacerebbe solo che il prossimo mondiale sia giocato da 11 italiani a caso, contro 11 sconosciuti di altre nazionalità. Ora si parla di  responsabilità e processi. Fossi in Lippi mi candiderei al PdL e invocherei il legittimo impedimento (Brancher docet). Chiudo e passo oltre.

Ieri sono andato a vedere i fuochi a Villa Reale. Alle 19.30 eravamo, io e lei, seduti nel parco con le nostre copertine, i nostri panini al prosciutto e tanto ammmore negli occhi. Ci siamo guardati un po' intorno, studiando i vari esempi di umanità varia e, verso le 21.45 lo spettacolo è iniziato. Piccola parentesi: quanto sarebbe stato bello se sul prato, durante l'attesa, non ci avessero ammorbato con il classico speaker-dj che deve per forza farti divertire? Siete un pubblico meraviglioso! Cantiamo tutti insieme!! Ho provato tenerezza per quei poveri illusi che, dopo una giornata di lavoro, pensavano di godersi un paio d'ore prima dei fuochi leggendo un libro. Vabbé!

Spettacolo molto bello. Per chi non lo sapesse è composto da musiche e fuochi d'artificio in sincrono. Molto bello ed emozionante. Un attimo di tensione dopo il primo pezzo quando, i soliti selvaggi, resisi conto che dalla loro posizione vedevano male, hanno deciso di spostarsi, invadendo la zona transennata per motivi di sicurezza. Siamo ai livelli che non basta la transenna, è necessario mettere una didascalia: "Questa transenna è stata posta qui, perché da questo punto in poi, per motivi di sicurezza, non si può sostare". Ho dei seri dubbi che anche questo non basterebbe. Per i selvaggi servirebbero transenne elettriche o, più semplicemente, una matita per disegnargli un cervello.

Torniamo allo spettacolo. Mentre i fuochi esplodevano in aria sulle musiche dei Pink Floyd, io mi sono voltato a guardare il mare di gente dietro me. Tutti naso per aria, con i volti che cambiavano colore: rosso, verde, blù, arancione, oro. Gli occhi spalancati e sulle lenti degli occhiali potevo vedere i fuochi in miniatura. Per un attimo ho pensato a cosa sarebbe il mondo se tutti, invece di seguire i propri interessi personali, si concentrassero sui valori collettivi. Quella folla dietro me, tutta concentrata su quello che stava accadendo in cielo, sembrava così pura, così umana e così felice, che avrebbe meritato di morire in quel momento. Mi sono sentito parte di un tutto ed ho pensato che, forse, nel profondo di ognuno di noi c'è una scintilla di speranza.

Poi i fuochi sono finiti e mi sono ritrovato a calpestare bicchieri, bottiglie, piattini e cartacce varie abbandonati sul prato. La scintilla di speranza è andata persa in mezzo a tutta quella spazzatura.

giovedì 24 giugno 2010

Il mio amico Martino non è pazzo.

Lo conosco praticamente da sempre. Tutti lo ritengono pazzo, ma per me Martino è solo particolare. Tutti lo evitano per la sua particolarità, io lo frequento proprio per quello. Tutti hanno iniziato a considerarlo pazzo nel 1979, quando buttò dal suo appartamento all'ottavo piano, Sheeva Burlesque, il gatto di sua madre, solo per capire se fosse vero che i gatti atterrano sempre sulle zampe. Lui può dire con certezza che é vero: i gatti atterrano sulle zampe. Scoprì, però, che atterrare sulle zampe non significa uscirne indenni. Per questo gesto si guadagnò il titolo di Martino il pazzo. A me Martino è sempre stato simpatico e non ho mai pensato che fosse pazzo. Dov'è la pazzia nel cercare di darsi una risposta? Per Martino i veri pazzi erano quelli che accettavano qualsiasi cosa, senza porsi nemmeno il dubbio.
L'ultima volta che l'ho incontrato è stato in edicola, stava comprando dei giornali. Martino ha sempre letto moltissimo. Grazie a lui ho conosciuto tantissimi scrittori, tantissimi libri. Alcuni dei testi che mi ha consigliato non mi sono piaciuti per niente, ma sono stati utilissimi per farmi capire quello che mi piace. Martino non si è mai offeso, quando candidamente, gli dicevo che il tal libro mi aveva fatto cagare. Chiedeva semplicemente perché? Io glielo dicevo, cercavo di spiegarmi e passavamo ore a parlare. Poi mi guardava e ridendo diceva: beato te che non capisci un cazzo. Era il suo modo per dire che mi voleva bene. Martino odiava i ragni ma non li ha mai uccisi, almeno non volontariamente. Se per caso ne trovava uno in casa, cercava di farlo salire su un foglio e lo liberava sul davanzale. Dopo l'edicola siamo andati a bere il caffé insieme. Fuori pioveva fortissimo, così forte che si sentiva l'odore della pioggia. Entrati nel bar siamo stati avvolti dal profumo di brioches e di limone. L'odore delle brioches arrivava, ovviamente, dalle brioches; quello di limone da Martino. Mi ha spiegato, con la sua tipica naturalezza, che si era fatto la doccia con il Nelsen piatti perché aveva finito il bagnoschiuma. La gente lo evita per queste cose, io per lo stesso motivo lo adoro. Valutando il potere detergente, aveva anche pensato che se sgrassava i piatti, con tutta probabilità, poteva farlo dimagrire.

Martino aveva una specie di agenzia turistica, ogni tanto andavo a trovarlo. Poi, per varie vicissitudini, ha dovuto chiudere. Ricordo che andava a lavorare con uno splendido completo grigio, camicia azzurra e cravatta blù. Stava benissimo. Poi Martino con la gente ci sapeva fare. Era in grado di convincerti che quindici giorni a Luino erano meglio della Sardegna, ma non l'ha mai fatto. Lui leggeva i sogni negli occhi della gente e provava a realizzarli. Non sempre c'è riuscito ma ogni volta metteva il massimo dell'impegno. Un giorno sono passato a salutarlo in agenzia. Dietro il bancone era perfetto: giacca e cravatta, capelli ricci ingellati. Era proprio bello. Sottovoce mi dice di avvicinarmi e passare dietro il bancone. Rido nel vederlo in sandali e pantaloncini a fiori. E' luglio, - mi dice - fa caldo. Chi me lo fa fare di stare con i pantaloni lunghi? Come non dargli ragione? Invece, tutti dicevano in coro che "eh sì, Martino è proprio pazzo".

Ieri sono andato in biblioteca per prendere un libro per la mia nipotina. Tra le tante possibilità ho optato per "Gelsomino nel paese dei bugiardi" di Gianni Rodari. Tornando a casa eccolo lì, con la sua chitarra seduto in un angolo della piazza a suonare. Mi sente arrivare ancor prima di vedermi. Ci salutiamo. Dio quant'è che non lo vedo. Ha i capelli lunghi. Suona la sua chitarra. Chiedo se vuole bere qualcosa. No, non vuole ma se vado a bere un caffé, gradirebbe gli portassi una brioches. Vado. Prendo un po' di brioches varie e torno. Strimpella mentre parliamo. Vede che ho in mano Gianni Rodari e, improvvisamente, ricordo che la prima volta che l'avevo letto, me l'aveva prestato lui! Chiedo cosa fa lì, a fine giugno, a suonare. Che domanda scema - risponde - avevo voglia di suonare, ma in casa l'acustica è penosa. Suona e mi dedica "Running to stand still", un pezzo che ci era sempre piaciuto. Lo suona benissimo. Sul finale, una signora si avvicina e butta delle monetine davanti a lui. Rimane perplesso. Signora, grazie - dice - ma il mio concerto è gratuito! La signora, spiazzata e contrariata, bofonchia qualcosa e, riprendendo le sue monete, si allontana. Martino mi guarda e sentenzia: "Certo che la gente è proprio strana!".
Martino non è matto. E' come Gelsomino nel mondo dei bugiardi e alla fine, con la sua voce potente, sono convinto che porterà la verità al trionfo.

mercoledì 23 giugno 2010

Gli Spietati - "E' una cosa grossa uccidere, gli levi tutto quello che ha, tutto quello che sperava di avere"

"E' una cosa grossa uccidere, gli levi tutto quello che ha, tutto quello che sperava di avere". Credo sia una delle citazioni più belle dal film Gli spietati e fa parte di un dialogo tra William "Will" Munny e Skoofield Kid. I due sono in attesa della ricompensa per aver ucciso gli sfregiatori di prostitute. Non arriverà solo la ricompensa, ma anche la notizia della morte di Ned. Il film, che sembrava giunto al termine, ritrova nuova vita con la ricaduta all'inferno di Will. Non voglio fare una recensione di questo titolo. La frase che ho citato mi ha fatto pensare che non servono le armi per uccidere, per privare un uomo di quello che ha o sperava di avere.
E' più che sufficiente privarlo della libertà, del diritto al lavoro, della sicurezza del futuro o farlo vivere in uno Stato che promette tutto, senza mantenere nulla. Ogni giorno migliaia di bamboccioni si alzano la mattina per andare a cercare un lavoro, a fare colloqui dove si sentono presi in giro. Contratti a progetto, senza tutela in caso di malattia, senza ferie, senza sapere cosa ci sarà alla fine della collaborazione. E non basta! Spesso oltre a questa nuova forma di schiavismo, socialmente accettata, bisogna ringraziare chi mette il cappio al collo, perché offre una possibilità di fare esperienza. Chiariamo una cosa: i giovani si sono rotti il cazzo di fare esperienza come precari, hanno interiorizzato tutto del precariato. Ora vorrebbero farsi la stimolante esperienza del lavoro sicuro. Quello che ti permette di fare un mutuo per comprarti casa e, magari, farti una cazzo di vacanza senza avere l'incubo del conto in banca. Per uccidere non serve una pistola è sufficiente annegare i sogni di una persona. Metterlo in condizione di pensare "se mi compro questo cd e questo libro, il mio budget mensile regge?" I giovani bamboccioni, sono vittime di un generazione di Little Bill Daggett, ma molto meno irreprensibili e ligi alla Legge. Posso solo sperare che i giovani riescano a risvegliare in loro la furia di Will Munny e che, ai Little Bill Daggett, facciano un culo a capanna. E che poi ci si ritrovi tutti all'inferno! Detto per inciso il dialogo completo, fantastico per semplicità e concretezza, è questo:

Will: "E' una cosa grossa uccidere, gli levi tutto quello che ha, tutto quello che sperava di avere".
Kid: "Già... ma quelli se lo meritavano".
Will: "Tutti ce lo meritiamo, Kid".

martedì 22 giugno 2010

Storia di Efrem: un pelo in crisi d'identità.

L'altro giorno, dopo aver preso una bulaccata d'acqua, sono rientrato a casa infreddolito. Per evitare di prendermi una bronchite, mi sono buttato sotto la doccia calda. Sotto la doccia, mentre mi insapono, la curiosa scoperta. Sulla schiena, nella parte destra, all'altezza del gomito incontro Efrem (l'ho chiamato così). E' stato un incontro tanto sorprendente quanto fortuito. All'inizio sembrava un capello, scivolato dalla testa e destinato ai tubi di scarico. Dopo essermi sciacquato, invece, è ancora lì. Ripassandoci la mano lo sento ancora. Lo prendo tra pollice e indice della mano sinistra e, tirando, capisco che non è un capello. Ogni tanto mi capita di dover risolvere la questione con un pelo nero e setoloso che mi spunta sul naso. Lui però è fedele a se stesso e ciclicamente si ripronone. Io, senza scrupoli o remore, prendo la pinzetta e lo estirpo. Normalmente salta fuori nei momenti meno opportuni. Quando sono al cinema, per esempio, bello concentrato sulla trama che mi ha coinvolto e, passandomi le dita sul naso, lo incontro. Inizia una lunga battaglia, che si risolverà solo davanti allo specchio del bagno, a casa, con il risultato che quel film non riesco a più a guardarlo con attenzione.

Con Efrem però è un'altra storia. Cacchio è un pelo, lunghissimo, da guinnes dei primati. E' proprio un pelo in crisi di identità. E' un pelo che aspira ad essere un capello, senza averne le qualità; un po' come i frequentatori delle trasmissioni tv, che aspirano ad essere famosi senza averne i mezzi. Non so che fare, ora. Io ho sofferto di crisi d'identità. Uscivo di casa e la seconda personalità non si ricordava dove la prima avesse posteggiato la macchina. Lui è lì, diafano e morbido che non da fastidio a nessuno. Se lo strappo, pongo fine alle ambizioni di Efrem il pelo. Se lo lascio lì, vivrà nella frustrazione di non realizzare il suo sogno. Quasi quasi, domani vado in un centro tricologico e lo dono. Oddio! Potrebbe finire in qualche triste toupè e passare il resto dei suoi giorni come un pelo da riporto. 
Pensate, però, che bello saperlo su una testa, in pieno vento che fa il ganzo ballando questo pezzo:


Non so che fare. E' proprio una brutta gatta da pelare.

lunedì 21 giugno 2010

Basilicata coast to coast: il viaggio e le trasformazioni dell'individuo.

Ieri sera sono andato al cinema a vedere il film del titolo. Molto bello, caldamente consigliato. Finalmente il Sud, il profondo Sud, visto con gli occhi della commedia, guasconi e picareschi. Un storia per divertire e raccontare il viaggio di un gruppo di amici. Intendiamoci subito: non è un film perfetto, anzi, però, a differenza di tanti altri racconta qualcosa di universale ed è una ventata di aria fresca tra i capolavori mocciani, i panettoni desichiani e tanto altro merdume, anche pseudo impegnato e finto intellettualoide, che il cinema italiano propina.
Il tema di tutto è il viaggio che ha sempre avuto un peso fondamentale nella formazione dell'uomo. Nel 700, per esempio, i giovani di buona famiglia ne facevano uno, che era una specie di iniziazione alla maturità. Viaggiare è come rinascere, rimettersi profondamente in gioco. Andare all'estero, confrontarsi con una lingua sconosciuta è come ritornare bambini, doversi ristrutturare alla ricerca delle competenze basilari come la comunicazione.

Il viaggio del film è qualcosa di simile che, per certi aspetti, ci racconta, implicitamente, la banalizzazione del viaggio nella società, ad uso e consumo, dei viaggi organizzati per i turisti cavallette. Basilicata coast to coast, in macchina è un viaggio di un'ora e mezza, poco più poco meno; ma non è "la geografia che cammineremo" ad essere importante, bensì il come e il perché si decide di attraversarla quella geografia. Rocco Papaleo (l'idea è sua), non ci racconta la terra del fuoco o la transiberiana, non ci racconta mete strasognate e straambite da tutti che racconteremo, sempre e comunque, con gli occhi dello stupore, fa molto di più. Ci racconta di un viaggio molto più impegnativo, il viaggio in noi stessi che terrorizza e può annichilire. I picari di questa avventura, partono per andare a suonare (a proposito di musiche... sono molto belle) a Scanzano. Decidono di andarci a piedi, con un carretto trainato da un cavallo, in un viaggio programmato di dieci giorni, seguiti da un'emittente parrocchiale. In questo tragitto c'è chi smetterà di vivere d'illusioni per confrontarsi con la realtà, chi si renderà conto di aver ancora voglia di inseguire il proprio sogno, chi ritroverà le parole ma forse era meglio se continuava a stare zitto, chi semplicemente, anche se con i suoi tempi, riuscirà a portare a termine qualcosa.
Troppi raccontano di viaggiare con la presunzione di cercare sé stessi, e per farlo finiscono sempre in luoghi esotici. Com'è che tutti perdono il proprio vero io in India, Africa, Sud America? Oddio, può capitare, ci mancherebbe. Papaleo, invece, ribalta il tema: il ritrovarsi deve essere un viaggio di ritorno alle proprie origini, viaggio che poi, più che riportarti a quello che sei, al massimo può chiarirti le idee su quello che NON sei. Perché i veri viaggiatori sono coloro che viaggiano quotidianamente, che tengono l'interruttore del proprio spirito critico sempre su ON. Che non hanno perso la loro capacità di spalancare gli occhi per stupirsi. Quelli che sanno benissimo che le risposte, alle domande che non hanno, possono trovarsi dietro l'angolo, sulla strada che ti porta in biblioteca, magari, tra le pagine di un libro o nelle parole di un amico.
Tutto qui. Viaggiate come siete in grado di farlo, da soli o in compagnia, l'importante è aver la scarpa adatta per camminare. Dimenticavo: la Basilicata è proprio bella.

domenica 20 giugno 2010

(unPOdiESIA): Riportami a casa


Riportami a casa
Marinaia lunare 
Dove il mare diventa cielo
Sul filo di quell'orizzonte
Che non smette mai di circondarmi
E permettimi di coricarmi
Sul freddo e duro pavimento di vento
Sì lo sò che ho sempre detestato farlo
Prima però era una punizione
Voglio sdraiarmi
E tu fallo con me
Restami accanto e abbracciami
Ora che sono così confuso
Ho bisogno di te
Per sopportare il dolore del passato
Parlami di domani
Di quando staremo insieme
Sorridimi raccontami
Di quando giocheremo
A dare colore alle pareti
Che ci ospiteranno nella vita
Io le vorrei blu come il cielo
Rosse come l'amore
O forse non le vorrei affatto
Riesci a vedere gli incubi di cui parlo?
Se li vedrai potrai catturarli
Potrai portarli alla luce
E non mi faranno più paura
Ed io potrò sdraiarmi sul pavimento
E riposare
Salvami da tutta questa solitudine
Da questo clangore di anime inutili
Da queste parole che come api
Vengono a pungermi la pelle
Non temere di farmi male
Tu non puoi ferirmi
Strappa quell'uncino dal mio collo
Che mi trascina in giorni di tormento
Impedendomi di guardare l'amore negli occhi
Fallo ti prego
E ritorna vicino a me
Raccogli i pezzi di quello che sono
Io posso nascondermi in te
Ma non a te
Stringimi le mani
E se cerco di fuggire
Stringile più forte
Restami vicino
Ora che sono così confuso
Ho bisogno di te
 Perché dagli incubi uscirò in bianco e nero
E sarai tu a dovermi parlare 
Di arcobaleni e girasoli
Farfalle e pesci rossi
Sarai tu a restituirmi i colori
La luce
Restami accanto e abbracciami
Ho bisogno di te
Ora che sono così confuso.

sabato 19 giugno 2010

(unPOdiESIA): Ci addormentammo qui


Ci addormentammo qui 
Sotto un cielo stellato
Ma al risveglio 
Tu non c'eri più
Avevo chiesto al ragno
Appeso al ramo
Di legarti a me con un filo di seta
Ma ti sei dissolta comunque
Mi dicesti che saresti sempre stata dentro me
Però non riesco a vederti né sentirti
Spero solo che
Ovunque tu sia
Stia tranquilla e in salute

Ti ho aspettata in riva al mare
Dove giocavamo a nascondere i piedi
Coprendoli con la sabbia
Ho atteso fino all'ora della sera
Quando il sole è tiepido
E io mi appoggiavo a te
A leggere i miei libri
Sono rimasto lì fin quando la mia ombra
Lunga a dismisura
E' stata inghiottita dal buio
Ma tu non sei tornata

Tutti vorrebbero essere supereroi
Ma nessuno riesce a valicare
Le possibilità di un normale essere umano
I più fortunati diventano clowns
O al limite ballerine
Mentre io vago da città a città
Chiedendo se qualcuno ha visto una donna
Con una fiamma nel cuore
Ed ogni volta che lo chiedo
Recito le mie preghiere

Ogni giorno è come camminare
Su un filo spinato
E mi manchi sotto la pioggia
Mi manca la tua voce
Che credevi uguale a quella
Della grande cantante
E continui a mancarmi anche se
Ho perduto la speranza
Il sole non mi illumina più
Convinto che il buio possa nascondere
Le miserie della mia solitudine
E' la luna ora a vegliare su di me

Ho fermato il mio cammino
Giunto alla fine del giorno
E mi sono sdraiato a riposare
Con un barattolo di lucciole
A farmi compagnia
Ero sul confine dell'incoscienza
Quando ti ho sentita dentro
Non scappare ancora ti prego
Ho pensato tra me e me
E tu con una mano sul mio viso
Plachi i miei timori
Ssshhhhh
Riposa e non preoccuparti più
I miei occhi si chiusero
Sotto il peso leggero delle tue mani

Mi addormentai sotto un cielo nero
Vicino ad un barattolo di lucciole
Mi ritrovasti sotto una coperta di seta
Donatami dal ragno appeso al ramo
Alle prime luci dell'alba
Piano piano mi dissolsi
E quel giorno segnò la fine del mio vagare.

venerdì 18 giugno 2010

Se tornasse il Messia dovrebbe fare i provini a X-Factor?

Oggi sono andato a fare colazione dal mio amico barman (sì, quello che disegna nella schiuma dei cappuccini) e, approfittando dell'affollamento del locale, sono uscito senza pagare. Lo faccio spesso, di me si fida e non sospetterebbe mai. Non mi vede più e pensa che ho pagato a Rebecca, mentre Rebecca pensa che ho pagato a lui. Tutti pensano felicemente che ho pagato un altro, ed io, invece, penso a fare colazione a sbafo. Quando sono in vena di smargiassate, rubo anche il Corriere della Sera e La Gazzetta dello Sport. 

Sulla via di casa ho incontrato Gesù.  Era seduto su una panchina, con aria mesta e la maglietta dell'Italia adosso, con "gattuso" scritto sulle spalle. Mi ha confidato che non esiste. Io, lì per lì, sono rimasto perplesso. Come non esisti? - ho chieso - sei qui davanti a me, con tutte le tue ferite nelle mani e nel costato. Lo sò - dice lui - ma non esisto. Ascolta - ribatto - te lo dico io, che non credo in te, e nella mia condizione di non credente, le mie parole dovrebbero pesare come macigni. Mi guarda perplesso, abbozzando un sorriso. Grazie - dice con voce sommessa - ma sono molto depresso in questi giorni. Di nulla - rispondo io - un momento "no" capita a tutti.

Poi mi spiega che è tornato sulla terra per salvarci, per rimetterci sulla retta via. Il problema è che la prima volta si è materializzato ai provini di X-factor. La Maionchi gli ha chiesto il nome e, quando ha risposto Gesù, lei ha ribattuto "Ok, mi piacciono quelli che hanno fiducia in sé stessi, però non esagerare. Cosa ci canti?". Mi parla anche della seconda apparizione, avvenuta a Porta a Porta. Buonasera lei è? - gli ha chiesto Vespa. Gesù - ha risposto. Ah, perfetto - si è ringalluzzito Brunone - quello che ha unto il nostro Premier. Quando, però, ha fatto capire che non era proprio così, si è materializzato Minzolini che l'ha buttato fuori dagli studi RAI e guardando un santino di Berlusconi "Perdonalo Papi non sa quel che dice".

Io non sapevo che dirgli. Oh, detto tra noi, era depresso forte. La situazione era piuttosto surreale, anche a me non è che fregasse tanto di star lì, a perdere il mio tempo con un tizio allampanto, capellone e con la maglia di "gattuso" addosso. Per cercare di liberarmi dall'impaccio chiedo se posso fare qualcosa per lui. Mi chiede di metterlo alla prova. Come? - chiedo io. Chiedimi qualsiasi cosa che ti può convincere del fatto che io sono il Messia. Non sapevo bene cosa chiedere ma gli anni di settimana enigmistica, fatti con mia nonna, mi sono venuti in soccorso. Ascoltami bene - dico guardandolo negli occhi e, per un attimo, nei suoi occhi ho visto IL FUOCO SACRO - se tu sei chi dici di essere, devi far materializzare una pietra così piccola ma così pesante che nemmeno tu sei in grado di sollevare. Dopo qualche secondo di silenzio e concentrazione... ZAC! Davanti ai miei occhi una pietra, grande quanto un uovo ma pesantissima, nemmeno riuscivo a muoverla, di sollevarla non se ne parlava nemmeno. Allora sei veramente tu - dico genuflettendomi. Lui orgoglioso mi chiede di rimetterlo alla prova. Felice di assecondarlo dico - se tu sei chi dici di essere ora dovresti essere in grado di sollevare questa pietra. Mi ha guardato sgomento, proprio mentre io mi rendevo conto di avergli chiesto una cazzata...

In tutta onestà qui il post ha perso mordente. Ho iniziato a scriverlo qualche giorno fa, partendo alla grande. Sembravo uno di quei giocatori africani che partono palla al piede, potentissimi e velocissimi, saltando gli avversari con baldanza da cacciatore di elefanti, ma arrivati da soli davanti alla porta sciabattano nei peggiori dei modi. Non sapendo più dove sarebbe andato a finire questo post, ho mandato la bozza alla mia dolce metà che l'ha letto. Mi ha chiamato e al telefono abbiamo parlato a lungo, a più riprese, di valori spirituali e morali e di crisi religiose. 

Io, ve lo confesso, sono piuttosto scoraggiato. Mi guardo intorno e vedo un mondo che sta invecchiando in maniera postmoderna e morendo di superficialità. Valori che non sono più interiorizzati con le esperienze quotidiane  o gli esempi di modelli genitoriali, ma che vengono venduti tramite pubblicità. A volte entro nei supermercati e chiedo dove posso trovare le scatole di "buon senso", vorrei comprarle per regalarle a tutti quelli che ne hanno bisogno.

Tutto questo per dire che io non credo in un qualcosa di religioso, ma stimo profondamente chi ha la fede. E mi viene da chiedermi una cosa... se a voi capitasse di incontrare Gesù? Voi ci credereste che è Lui? Lo mettereste alla prova? Lo prendereste come un segno del cielo o per un drogato qualsiasi? Mi faccio spesso questa domanda... forse che mi piacerebbe aver qualcosa in cui credere?

Grazie a chi di dovere per il fotomontaggio. Senza di te sarei un piede senza calzino, una scarpa senza lacci, una bocca senza denti, un mento senza barba o una stella senza cielo, che è molto peggio di un cielo senza stella. 

giovedì 17 giugno 2010

Gli Unni e gli altri.

Avvertenza per il lettore: il seguente post è parte di un lavoro più ampio dal titolo "Ti è morto il gatto e chi l'ha morto sono io" che si propone... vabbé, se siete interessati trovate tutto qui: INTRODUZIONE. Ti è morto il gatto e chi l'ha morto sono io (I'll be back in Cafonland). La logica suggerirebbe di leggere il tutto con ordine, anche se a guardare bene, sarebbe meglio suggerisse di leggere altro.


CAPITOLO 3

Ultimo giorno di vacanza. Sì, non mi piace seguire l'ordine cronologico. Già la vita lo fa in maniera dannatamente precisa ed io non amo arrivare secondo. 

Sidonio Apollinare, parlando degli Unni, ci racconta: "orribili erano anche i volti dei loro neonati, la cui testa era un’informe massa rotonda. Gli occhi erano infossati, sotto la fronte, il naso schiacciato che quasi non sporgeva dal viso. Sin da neonati ai maschi, veniva stretta una benda sul naso in modo da impedirne la crescita, questo perché il naso non superasse la protezione dell’elmo". Lo storico romano Marcellino ci racconta che i maschi, fin dalla prima infanzia sfoggiavano terribili cicatrici in volto. Erano le madri a procurargliele perché il futuro guerriero sopportasse il dolore e le cicatrici impedissero la crescita della barba considerata “antiestetica”. Gli Unni mangiavano soprattutto radici di piante e carne cruda. Per tutta la vita indossavano solamente due vestiti che non lavavano mai, per questo emanavano un orribile odore che usavano come arma psicologica contro il nemico.

Io ho avuto la (s)fortuna di incontrarli in quel di Albisola. Domenica 6 Giugno, mi alzo presto con la mia dolce metà, scendiamo nella spiaggia libera (semivuota), stendiamo i nostri asciugamani e andiamo a fare colazione. Due cappucci e due brioches, con sbirciata gratuita a un paio di quotidiani. Un paio di ore di sole per poi ritornare nel profondo Nord brianzolo.

La storia mi ha sempre affascinato. Si dice che la grande muraglia Cinese sia stata costruita per proteggersi dagli Unni, ed io avrei proprio dovuto costruirmi una muraglia di sabbia per respingerli. Sono arrivati alle 10 circa, proprio come nei migliori cartoni animati, sollevando un nuvolone polveroso a km di distanza. Non erano ancora scesi dai loro destrieri, che già il panico solcava i visi dei bagnanti. Oddio, arrivano gli Unni e deprederanno i nostri beni e violenteranno le nostre donne - urlavano a destra. Costruiamo palizzate - rispondevano a sinistra.

Eccoli!! Una piccola tribù, tutta munita di infradito e tatuaggi, di crudeli selvaggi composta da:
  • capofamiglia di 1.90 cm per 150 kg;
  • concubina #1 mora, sul tipo troieggiante un po' sfatto;
  • concubina #2 biondaplatino, sul tipo troieggiante ma in forma e con tette rifatte;
  • vice capofamiglia che, secondo il sottoscritto, si trombava la concubina #2
  • 4 unnini (3 piccoli Unni ed 1 piccola Unna) che in quanto piccoli erano ancora più Unni dei grandi Unni.
La spiaggia a quell'ora era già piuttosto piena. Procedono con passo fiero, privo di paura e ricco di maleducazioni. Giungono fino ai confini del mio podere, dove c'è un piccolo spazio di forse due metri quadrati. Li osservo, con sorriso sornione, pensando a dove riusciranno a trovare spazio per otto, dico otto, persone. Il capofamiglia, che d'ora in poi chiameremo Attila, butta ombrellunno (ombrellone unno), borsa frigunno, bunnorse e borsettunne, contenenti cazzunni varii, per terra. Mi guarda con un sguardo assurdo che non potrei che riassumere in questo modo: voi siete a casa vostra, uno sconosciutunno senza nemmeno suonare entra, appoggia le valige per terra, sputa per terra, si toglie le scarpe sgrullandosi il battocchio e, guardandovi negli occhi, VI dice, dandovi una sonora quanto fastidiosa pacca sulla schiena: "Benvenuto a casa tua, farò come se tu non ci fossi!".

Attila pianta l'ombrellunno nella sabbia, il vicecapofamiglia lega i cavalli all'ombrellone dei vicini,  mentre i quattro unnini gli legano il sacco di biada al collo e le concubine spruzz spruzz spruzzano creme solari. Appena conquistato il territorio, inizia la caccia. Io e un'altra signora, ignari del nostro futuro, ci ritroviamo lembi di asciugamunno sui nostri. Gli Unnini iniziano a correre ovunque, dando un nuovo senso alla definizione "rompere pesantemente i coglioni". Per dare una spiegazione molto molto attuale, direi che gli unnini in questione sono il risultato genetico dell'accoppiamento tra X (metteteci la persona più rompicoglioni che conoscete) e la vuvuzela più stridula e fastidiosa del Sud Africa. Ogni passo sono valanghe di sabbia che finiscono addosso a chiunque, anche a quelli che in spiaggia sono venuti ieri e adesso non ci sono più. La piccola Unna, dalla vocina di pterodattilo con la raucedine con le frequenze di una smerigliatrice acuta, incrociata con lo stridore del gesso sulla lavagna, mangiando una focaccina urla che va a fare il bagno. I tre piccoli Unni, invece, si dedicano alla costruzione di buche con Attila per catturare cinghiali. Purtroppo Attila è amante della comodità, e come un balenottoro spiaggiato per aver ingoiato un sacchetto di plastica, decide che la caccia deve avvenire all'ombra dell'ombrellunno della vicina di asciugamunno, e ogni palata di sabbia finisce sull'abbronzatura dell'ignara signora di cui sopra. Finite le buche per la caccia, gli unnini si lanciano in rituali iniziatici di accoppiamento, sfrucugliando la minchia a tre quarti di spiaggia. In questo frangente, però, ho avuto modo di arricchire la mia laurea a orientamento pedagogico, osservando il rigore educativo della famiglia unna. La concubina #2, che stava rosolando al sole, richiama all'ordine gli unnini e rivolgendosi all'unnino più vivace che stava massaggiando, con la paletta di plastica,  le gengive di una povera signora di 75 anni, urla:  “SIMONE!?! Non urlare!! Lascia stare la preda! Non vedi che è vecchia? Vengo lì? Vengo lì??!?! Vengo lìììì?!?!? (Nel frattempo nelle retrovie si alza uno striscione: VACCI PORCA TROIA, VACCI!!) GUARDA CHE  SE VENGO LI' TI MASSACRO DI BOTTE!!!!!!!”. L'unnino, come dire, non percepisce bene l'avviso della concubina, anzi se ne fotte in maniera magistrale. 

Nel frattempo io, conscio di aver perso la battaglia e illudendomi di poter ancora vincere la guerra, raccolgo la truppa, evitando lo scontro diretto, e mi allontano da quello che è diventato l'accampamento Unno. Appena mi sposto, ignaro dell'elementare concetto di spazio sociale, il vicecapofamiglia si alza e lancia un altro asciugamunno nello spazio appena liberato. Mi ritrovo con un altro asciugamunno sul mio asciugamano.

L'unnina dalla voce di pterodattilo ecc, ecc..., rientra piangente come una fontana, a bocca aperta con ancora la focaccia in fase di masticazione in bella vista. Assisto ad un litigio fra Unni “Maaaaaaammaaaaa!!! Mi ha schizzatoooo!!! MAAAAAMMAAAA!!!!! Uèèèèèèè”. Una famiglia normale avrebbe sorriso, spiegando che "sei al mare, in spiaggia, ci sono 30 gradi e tu frigni come un’aquila perché ti hanno schizzato?". La famiglia unna, no! Attila, riunisce il consiglio bellico. Parte la spedizione punitiva. Il diverbio è avvenuto fuori dalla mia portata visiva ma non da quella uditiva. Per motivi di decenza e sensibilità non riporto l'accaduto.

Conquistato e sottomesso il territorio, gli Unni chiamano a raccolta altri membri della tribù. La concubina #1, con un potente mezzo tecnologico chiamato telefunno, parla con Pietro ma con un tono di voce talmente alto che il telefunno diventa utile solo se Pietro è distante più di 500 km. Attila, invece, più conservatore opta per i segnali di fumo... di sigaretta. Fastidiosi? Noooo....

Ormai si è fatto mezzogiorno, stremato dalla battaglia e dalla calura, con lo stesso stato d'animo di Flavio Romolo Augusto nel 476 di fronte a Odoacre, raccolgo il mio asciugamano e le mie proprietà, dirigendomi sconfitto verso gli ultimi anni di esilio.

Leggi il capitolo 4 (porta pazienza... non è ancora pronto)

mercoledì 16 giugno 2010

Approfitta degli Ego-incentivi, rottama la tua vecchia personalità!

Vi capita mai di sentirvi pesci fuori dall'acqua? Io ultimamente con questa sensazione ci convivo. Charles Bukowsky in "Una pioggia di donne" scrive una cosa di profondità e verità stupefacenti, che riassume il mio stato attuale:


Già. Questo è proprio quello che avverto da un po' di tempo. E' che mi sento lontanissimo dalla maggior parte dei replicanti che vedo per strada, però, di contro, avverto subito a pelle quelli che si sentono come me. Guardo la tv e, troppo spesso, penso che sia molto più interessante da spenta. Il mezzo, che per tanti anni è stato veicolo di cultura, è passato ad essere un elettrodomestico deleterio, senza nemmeno sostare per un attimo nella posizione di inutile. Se ci pensate bene, fa meno danni una sega elettrica in mano ad uno psicopatico che la televisione in mano alla De Filippi e alla Barbara d'Urso.

Sono momenti di totale sconforto e allora mi spengo, mi perdo nelle pagine dei libri o mi lascio cullare davanti al candido biancore di fogli di carta, in attesa che il vortice di pensieri prenda un minimo di forma e senso. Rileggo un passo di un racconto o di un romanzo, oppure mi perdo nella musica. E' la mia terapia per rigenerarmi. Poi ritorno alla realtà trattenendo il fiato, vivendo in apnea fino alla prossima crisi. Grazie a Dio sono fatalista e, tutto sommato, ottimista. Il lavoro? Lo troverò. Tanto sò per certo che non è la mia via per realizzarmi. Per il resto tutto bene. Finché avrò libri da leggere e musica da ascoltare ma, soprattutto, un cuore e un cervello per comprenderli, ho la certezza di poter dire che vivo. Sopravvivere non mi interessa. Anzi, il giorno che mi accorgerò che sopravvivo vorrà dire che sarò già morto da tanto.

martedì 15 giugno 2010

Amici miei, popolo mio, gente: voi credete che io sia pazzo e forse avete ragione voi: io sono pazzo veramente. Ma non è colpa mia, sono stati loro che per forza mi hanno fatto impazzire!

Il titolo del post... ve lo dico alla fine. Io sono un tipo tranquillo e, come cantava Tricarico, voglio una vita tranquilla. Di me si può dire qualsiasi cosa, tranne che non ci abbia provato con tutte. Simile asserzione ha anche una conseguenza sulla vita quotidiana, richiede attenzione e calma e osservazione. Anche alla guida. Io ho sempre il finestrino abbassato, con Radio MieleCuoreAmore di sottofondo, pronto a fischiettare complimenti alle bellezze che incontro sul mio cammino. La mia macchina non può superare la velocità di due chiappe sculettanti. Immaginate dunque il mio sgomento, quando un Comune lombardo si è premurato di avvisarmi, tramite raccomandata, di avermi fatto un book fotografico mentre eccedevo in velocità su una strada di sua competenza. 32 km in più rispetto al limite. Poi ho verificato il tratto stradale: un lunghissimo rettilineo che puoi percorrere, tranquillamente e IN TOTALE SICUREZZA, a 120 km l'ora ma che, per rimpinguare le casse più che per reale sicurezza, è stato limitato a 90 km. La cosa curiosa è che il rettilineo finisce con una bella curva secca, con immissione di altra strada, che qualche scapestrato percorre a velocità folli, creando reali pericoli agli altri conducenti. Lì però non c'è l'autovelox. Poco redditizio, probabilmente.

Già scazzato per la multa e per i cinque punti, che mi tolgono definitivamente il sogno Champions League, mi reco in posta a pagare. Biciclettina e via. Arrivo in posta e mi si pone di fronte il solito dilemma amletico. Due file. Quale scegliere? E' indifferente, qualunque sarà la mia scelta, sarà quella sbagliata. Così é! Una fila di cinque persone contro una di due. Scelgo la più breve, divento il terzo. Nel giro di pochi minuti la fila di cinque mi ha già superato, doppiato e sbeffeggiato. Io sto ancora aspettando che il tizio davanti a me finisca. Ha deciso di cambiare gestore telefonico e passare a postemobile e l'operazione, tra fotocopie, firme e accessori vari, non è delle più celeri. A questo punto è poco razionale cambiare fila, entrambe sono diventate lunghissime.

Finita la lettura del XXI capitolo di Anna Karenina, finalmente arriva il mio turno ma tutto si blocca. Un inquietante tizio con un maglietta arancione e jeans, sbucato alle spalle delle signorine agli sportelli, intima l'alt. Penso ad un rapina, invece no. Peccato, perché sarebbe stato più veloce. E' il tecnico che deve sostituire le stampanti. La signorina, scusandosi, spegne il terminale. Il tecnico smonta, rimonta, configura, riavvia, rispegne, risetta. Venticinqueminutiventicinque d'attesa e mi incazzo in maniera molto garbata. Faccio notare che già l'orario è 8.30 - 13.30, che molti si sono presi un permesso al lavoro per fare le commissioni e, con tutta probabilità, in uno stato mediamente intelligente, un lavoro di assistenza-manutenzione di quel tipo, lo si poteva fare tranquillamente a chiusura ufficio. La signorina allo sportello sorride imbarazzata, il tecnico nemmeno mi caga. Rimpiango i tempi del risorgimento, siamo veramente un'umanità impoverita nello spirito. Non ci si incazza più per niente, se non per le stronzate. Siamo senza lavoro, con una burocrazia kafkiana ma siamo pronti ad attivarci solo per televotare Scanu ad Amici o quando la nostra squadra di calcio viene retrocessa in B. Masaniello non era pazzo, siamo noi ad essere rincoglioniti!!

PS - Il titolo, per chi fosse curioso, è tratto dall'ultimo discorso di Masaniello.

lunedì 14 giugno 2010

Che risveglio ipnopompico!!!

Maliziosi, sempre a pensare a quelle cose lì... ma vi pare, di prima mattina? Ieri sera sono rientrato da un piacevole weekend in Emilia da amici. Bellissimo, mi sembrava di essere in un episodio di "La casa nella prateria". Ovunque ti giravi colline, con quello strano stile patchwork a quadrettoni. Lì una toppa gialla di grano, là verde chiaro di prati, a destra il rosso dei papaveri, più lontano il verde scuro delle mele cotogne. Un vero paradiso per i fotografi. Distese di spighe mollemente mosse dal vento, che creava onde nelle quali vorresti tuffarti. Poi il tramonto (che ti viene voglia d'improvvisarti pittore impressionista), l'arrivo della sera e poi la notte. La notte, così notte, a terra non l'avevo mai vista, per mare sì. Nera come la pece e silenziosa. Le stelle in quel buio sembravano falò e di sottofondo solo natura. Sembrava di essere in una traccia di quei cd new age. Che posto fantastico! Qui ci voglio vivere!! Il vento tra i rami, i led verdognoli delle lucciole, il cri-cri dei grilli, il cra-cra delle rane e ogni tanto qualche splash nell'acqua in lontanza. Lì vicino, invece, tra la fontanella e il barbecue, d'improvviso l'annaffiatoio salta e sbattocchia da solo. Mentre tafani e zanzare (con brevetto di volo conseguito in NASA) mi stanno facendo l'analisi del sangue, una serpe con un topino in bocca, mi passa tra i piedi, strusciando la sua pelle secca sulle mie caviglie. Brivido di terrore lungo la schiena con salto sul dondolo annesso. 'fanculo, domani torno a casa!!!

Eccomi domenica, nel tardo pomeriggio. Autostrada, calura, smog. La sera a casa. Questa mattina mi sveglio nel mio lettino e, per un interminabile secondo, i miei occhi vedono la stanza di quella casina immersa nelle valli emiliane. Terrore e sgomento. Lentamente l'incubo si dissolve, sento i clacson delle auto, i motori sfrecciare su di giri all'impazzata e, piano piano, le mie pareti, i miei poster, le mie mensole e i miei libri si materializzano ai miei occhi. Sono a casa grazie a Dio, per oggi le uniche vespe e api che vedrò saranno quelle della piaggio!!!

Ps- ovviamente scherzo, è stato un weekend piacevolissimo!!

sabato 12 giugno 2010

Oddio, ho perso il mio pensiero magico. E ora?

Qualche giorno fa, non sapendo bene che fare, sono uscito a farmi una passeggiata. In centro paese, seduto sotto i gelsi della piazza principale, mi sono messo a leggere al fresco. Ogni tanto alzavo lo sguardo sui bambini che scorrazzavano urlanti. Uno su tutti era il più curioso. Avrà avuto poco più di due anni, e si divertiva moltissimo a seguire le decorazioni della pavimentazione, disposte a quadrato. Correva con la buffa andatura dei bambini con il passo impacciato dal pannolone. Correva e, ad ogni lato completato, si lasciava andare ad una risata gorgogliante. Sembrava quasi che mi guardasse per dirmi di smetterla di preoccuparmi, e fare come lui. Il nonno lo osservava divertito e, allo stesso tempo, timoroso di vederlo cadere. I bambini sono come specchi, riflettono le emozioni. Quando cadono, e voi li soccorrete preoccupati, piangono. Quando invece il vostro accorrere  è rilassato, loro riflettono la vostra tranquillità; magari osservano la piccola sbucciatura sul ginocchio, si danno una sfregata alle mani ma riprendono a correre come il vento. I bambini sono la parte migliore di noi (che tutti ci premuriamo di perdere), quella che non ha scrupoli a porre domande imbarazzanti. Sono lo scrigno che conservano le mille false verità, perché ogni bambino possiede la sua verità. Non sa che ne esiste solo una, dunque, può inventare quella che ritiene migliore, e farla propria. Ogni bambino è come una spugna che assorbe tutto quello che lo circonda, ecco perché bisogna stare molto attenti a quello che circonda i nostri bambini. Sono stato anche io bambino, lo siete stati anche voi. E potevamo progettare astronavi, viaggi intergalattici; eravamo pirati dei sette mari che partivano alle due di pomeriggio, per doppiare la terra del fuoco, e riuscivamo sempre a rientrare per merenda. Ogni singolo dito delle nostri mani era una bachetta magica e potevamo fare tutto, senza fare niente. Poi chissà com'è, un giorno ti ritrovi seduto su una panchina a guardare i bambini che corrono felici e spensierati. Non ti riesce di invidiarli, vorresti solo essere libero come loro, recuperare quella parte smarrita. Torni a casa e ti trovi a scrivere su te che guardi i bambini che corrono felici e spensierati. Provi a voltarti indietro nel tempo, cercando di percorrere a ritroso la strada della vita, ma quella ormai è una magia che non puoi più permetterti.

venerdì 11 giugno 2010

(Rimembranze) Zio Zeb non è il fratello di mio padre...

Io della mia infanzia, a parte la povertà e le nottate sotto la neve a vendere fiammiferi, ricordo qualche cartone come Capitan Harlock, Goldrake, Marco dagli Appennini alle Ande. Non ho mai avuto pupazzetti di Harlock, magliette di Goldrake o cartelle griffate Marco delle Ande. I cartoni erano tali, storie da seguire. Punto. La pubblicità stordente non era poi così stordente. Ricordo anche Hazzard, Wonder Woman, Il mio amico Arnold e i giochi con gli amici. Giochi creativi come il meccano, il mio primo microscopio e il piccolo chimico (con il quale riuscii a rovinare il tavolo in noce del soggiorno), i lego Technics e il subbuteo. Ma la cosa che ricordo con più piacere, ero un po' più grandicello, erano i pomeriggi con mio padre a guardare Alla Conquista del West. E lo ricordo con piacere perché ci mettevamo sulla poltrona rossa, quella grande in sala. Ed io in braccio a lui, sembravo un mora in una siepe immensa. E ricordo il suo respiro e le sue spiegazioni sui pionieri americani, gli indiani, le carovane e di come ci gasavamo quando Zio Zeb (si parlava tanto di Zio Zeb che ero convinto che sarebbe venuto alla mia comunione o al mio compleanno per regalarmi uno scalpo!), prendeva a cazzotti qualcuno. Che poi a me degli indiani e delle carovane non fregava niente, però, mi piaceva stargli seduto vicino, strizzato nella poltrona rossa, con il suo braccio forte intorno alle spalle e sentirlo respirare.

giovedì 10 giugno 2010

(Sulla curiosità) Avete presente quando...

... in un bel discorso che vi sta prendendo completamente, vi dicono "Perché sai... vabbé, no... lascia perdere"? E voi rimanete lì a pensare, attaccati al filo, sospesi sul baratro a chiedervi che cacchio ha omesso di dirvi l'interlocutore? Perché poi le opzioni sono due. La prima è che vi stesse dicendo una cazzata sulla quale, giustamente, si autocensura; la seconda, quella che vi tormenterà fino a fine giornata, vi farà pensare quale rivelazione vi state perdendo. E' proprio una scocciatura, perchè poi, normalmente, queste cose succedono di prima mattina e abuseranno della vostra concetrazione per tutto il giorno; oppure a fine serata e vi toglieranno il sonno. Premere controlaltcanc del proprio cervello non servirà a nulla, non appena si riavvierà il sistema operativo, sarai ancora lì a pensarci. I più faciloni penseranno che basta chiedere, insistere e farsi svelare l'arcano. Eh, no! Non ci si può abbassare in maniera così meschina ai morsi della curiosità. Si fa finta di nulla, si sorvola mentre il tarlo già ci corrode dentro.

E' palese che chi ti mette in questa situazione lo fa di proposito. Di norma lo fanno le persone che non penseresti mai. E a tutto questo c'è una spiegazione terribilmente logica. Perché sai... vabbé, no... lascia perdere.

Preferisco la fortuna al braccialetto dell'amore...

Qualche giorno fa stavo leggendo il post del 1 giugno di e io che mi pensavo sui braccialetti della fortuna. Presente? Quelli brasiliani che devi portare fino a che si sfibrano e poi realizzeranno amore, soldi, amicizia, speranza, libertà, fortuna, pace? Io mi sono sempre posto una domanda. Che senso ha un braccialetto per i soldi, uno per l'amore, un altro per l'amicizia quando c'è quello in versione deluxe della fortuna? Chi disse che è meglio avere fortuna che talento inquadrò appieno la situazione.

Però la domanda è un'altra. E' una clamoroso errore di marketing o sono gli acquirenti ad essere un po' babbazzi? Il braccialetto della fortuna, in linea teorica, dovrebbe garantirti salute, amore, soldi e tutto il resto; o, secondo un principio più filosofico, tutto quello che desideri.

E' come entrare in un concessionario d'auto per comprare un macchina e il rivenditore ti offre a 1 euro una Prinz verde, da revisionare, del 1984 oppure, allo stesso prezzo, una Ferrari Cabrio nuova di pacca, con bollo, assicurazione, assistenza, carburante pagati per sempre; più un vitalizio di 25.000 euro al mese fino a che morte non vi separi, villa a tua scelta e la classica topona da rivista patinata, in bikini, già seduta sul sedile in pelle che capisci dallo sguardo impazzisce per averti. La Prinz verde è il braccialetto dell'amore, la Ferrari quello della fortuna. Mi fa piacere sapere che c'è ancora chi sceglie la Prinz, viva il romanticismo. Per quanto mi riguarda Ferrari tutta la vita!!

Ho ragione o no? 

Se ne sentiva proprio il bisogno...

Ci sono cose che segnano la giovinezza, che assumono un valore atemporale e, proprio per questo, dovrebbero essere immuni a remake o tristi ritorni in scena. Almeno per me è così. Sono film, personaggi, canzoni ai quali leghi ricordi spensierati e, ritrovarteli davanti 20 o 30 anni dopo, più che felicità ti mettono addosso un senso di disagio e tristezza. Così è per il prequel, sequel o remake, non ho approfondito bene, di Amici Miei... eh, se ne sentiva proprio il bisogno!
Sarebbe bello se, nel pieno spirito goliardico di questo immenso capolavoro, Neri Parenti uscisse con una bella dichiarazione del tipo: "Amici Miei? Ambientato nel Medioevo? Vi si stava pigliando per il culo. Figuratevi se una mente santa, potrebbe rifare un film del genere!!!". Sarebbe proprio uno scherzo fantastico, da standing ovation.

Si sentiva anche il bisogno di una ricerca del National Geographic che, pure in questo caso, auspico sia uno scherzo. Presente i mammuth? Sono loro la causa della glaciazione che ha devastato il pianeta. Anzi, no! Sono stati gli uomini i colpevoli. Infatti, la caccia indiscriminata li ha fatti ridurre drasticamente di numero. Volete sapere come i mammuth tenevano al caldo il pianeta? Siete proprio sicuri sicuri? Proprio sicuri sicuri sicuri? Sicurissimi? Contenti voi!! I rutti dei mammuth tenevano la terra al caldo. Che ricercona... eh, se ne sentiva proprio il bisogno.

mercoledì 9 giugno 2010

« Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un Italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione. »

Il titolo di questo post è una citazione del Discorso ai giovani tenuto alla Società Umanitaria da Piero Calamandrei, nel gennio del 1955. Mi è venuto in mente ascoltando alcune esternazioni del premier italico. Io mi rendo conto che governare oggi, con i vincoli della Costituzione, sia tremendamente difficile ma, come dice Bersani, San Silvio da Arcore su quella Costituzione ha giurato, usando le parole previste dalla formula rituale:



"Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione
e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell'interesse esclusivo della nazione"

Probabilmente, anche in questo caso, per l'ennesima volta, e che cazzo, in Italia non si può proprio più parlare, deve essere stato frainteso. Però per la prima volta, riesce a farmi sorridere. Inizialmente i nemici erano i comunisti, poi i pm, in seguito i giornalisti, spesso tutti e tre, a volte solo due. Ora la colpa è della Costituzione, perché a loro: «(...) non è che manchino le intenzioni o i buoni progetti, ma l'architettura costituzionale rende difficilissimo trasformare progetti in leggi concrete». Bellissimo, quest'uomo ha una capacità di scaricare le responsabilità anche su oggetti inanimati. Prima di fare tutte le promesse vane che ha fatto si è in formato sulle regole del gioco? Mi viene in mente una battuta del film "Mostri contro Alieni": Non ho un cervello però ho un'idea!

Non male nemmeno l'altro passo: «Poi ci sono i tempi della burocrazia, della giustizia civile e penale: lo Stato si è sviluppato in maniera eccessiva e prende a noi cittadini il 50% di ciò che produciamo e dà molto di meno in termini di servizi». Perfettamente in logica con gli scudi fiscali e tutti i capitali rientrati dall'estero. Un chiaro messaggio a tutti i poveri cristi che mensilmente soffocano di tasse, messaggio che li avvisa di essere degli inguaribili imbecilli.

A certe persone manca proprio la vergogna, ma come dice Belpoliti, citando Anders, in Senza Vergogna (suo ultimo lavoro che consiglio caldamente), "la vergogna è necessaria, chiosa Anders, in un'altra pagina del suo diario di viaggio. Questa vergogna deve essere fornita. Poiché quelli che l'hanno fatto, i debitori, i colpevoli, non vogliono pagare la vergogna giunta a scadenza, anzi neppure riconoscerla, devono intervenire altri, in loro rappresentanza, a versare al loro posto la vergogna dovuta".

In queste righe c'è la mia quota di vergogna. Non smettete mai di vergognarvi, di provare raccapriccio e rabbia. Sono gli unici baluardi che ci rimangono da opporre a questo scempio.


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L'ammmore fa felici i ragazzi o i ragazzi felici fanno l'ammmore?

Avvertenza per il lettore: questo post ha senso solo se lo leggi all'incontrario... no, scusa... volevo dire ha senso (o forse no!) se lo leggi dopo aver letto l'Introduzione e il Capitolo 1.

CAPITOLO 2

Lo dicevo io che era tutta colpa di Valerio Scanu e della sua "a far l’amore in tutti i modi, in tutti i luoghi in tutti i laghi in tutto il mondo l’universo che ci insegue ma ormai siamo irraggiungibili…". Aggiungerei: "meno male che siete irraggiungibili, altrimenti sai quanti calci in culo?!" Di chi sto parlando? Dei ragazzi che adolescono (leggasi pseudo-copulano) in spiaggia. Quelli che passano dal joystick della playstation al preservativo, ma si incasinano nell'amplesso perché la combinazione L1, triangolo, R2 non provoca l'orgasmo, nemmeno se attivi il dualshock.

In questi giorni di mare tra tatuaggi, infradito e maleducazioni varie e gate, ho sperimentato anche le copule estive. Ora, se trovi da trombare e, una volta stabilito il tutto, vai in un luogo appartato a concludere, tutto ok; ma se cominci i preliminari (spinti) in spiaggia, un po' mi scazza. Soprattutto se... non mi si invita.

Quand'ero giovane io, ovvero quando l'Italia vinse i mondiali... no, non nel 2006... la volta prima, a 15 anni in spiaggia si giocava a pallone. Succede ancora così. Solo che, molto spesso, ora ci giocano degli energumeni che, per non far cadere il pallone, spaccano bambini, annegano mamme incinte o danno spallate alla Rollerball a quelle dolcissime coppie di anziani che, con le loro vene varicose a bagno, passeggiano mano nella mano. E quando gli fai notare che in spiaggia è vietato il gioco della palla, ti guardano con il sopracciglio alzato e leggi negli occhi (oltre al vuoto spinto) le parole: che me ne fotte.

Torniamo a Scanu, ai laghi e quella roba là. Prévert scriveva che

"I ragazzi che si amano"
lo fanno
"in piedi contro le porte della notte 
i passanti che passano se li segnano a dito". 

E' una poesia bellissima, l'amore, il tremito dei corpi, la notte che protegge l'amplesso e

"se qualcosa trema nella notte
non sono loro ma la loro ombra
per far rabbia ai passanti
per far rabbia disprezzo invidia riso". 

Se l'amico Jacques fosse stato in spiaggia in questi giorni, quella poesia non avrebbe potuto scriverla. Quale notte, quali ombre? Lì si trombava alla luce del sole. Ragazzi che sgrillettano e non parlo di pistole... altri sdraiati sulle relative fidanzate a gambe, che dico aperte, spalancate. Lui con i piedi ben puntati che, ogni tanto, perdendo presa lanciavano sabbia a metri di distanza, come cagnetti dopo che hanno fatto i loro bisogni. E tutto questo quadretto amoroso incorniciato da bambini di tre, quattro anni che, guardando curiosi ed esterefatti, tornano dalla mamma a chiedere cosa fosse quella cazzata delle api e del polline! La cosa che più mi ha lasciato perplesso, erano i volti di tanti genitori, con prole a carico, visibilmente infastiditi che non dicevano nulla.

Anche io mi sono fatto le mie belle trombate in spiaggia e forse ho fatto anche di peggio. Ma non alle 3 e 30 di un pomeriggio di giugno con i bambini intorno che giocano con le formine. Stessa spiaggia stesso mare ma alle tre di notte è più bello (e fresco) per trombare. Non vorrei passare per bachettone ma io, nella stessa situazione di uno di quei genitori, avrei invitato i ragazzi ad andare a cercare la ggggioia altrove.

Il tutto nasce dall'equivoco "spiaggia libera". Dicesi spiaggia libera una spiaggia dove puoi andarci senza pagare, non un luogo di mare dove seiliberodifaretuttoquelcazzochetipassaperlatesta. Sempre più spesso le spiaggie libere sono teatri di copule, tanto da sembrare location per film porno. Tu dormi e vieni svegliato da slap e slurp cacofonici di adolescenti che, in una tromba d'aria di ormoni, limonano duro producendo più rumori di un fabbro. I più discreti (sempre meno) si appartano, magari in una cabina, e ci danno di fino; in caso contrario il ragazzino, con una fine metafora, resta come un "barattolino di sperma sottopressione", felice e confuso. La foto che segue, a mio parere, vale più di mille parole.


Che ne dite?

Vai al Capitolo 3: Gli Unni e gli altri.

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martedì 8 giugno 2010

Renzo Bossi conquista le donne con l'intelligenza.

Prima di tutto vi invito a leggere questo articolo della Gazzetta. Fatto? Non è esilarante? 

Eliana Cartella deve essere una ragazza molto esigente in questione di uomini. Cito: "Di Mario preferisco i muscoli, di Renzo il sorriso e che ti parla guardandoti negli occhi. Renzo è più intelligente, si merita un bel 9".

Già arrivare secondo in una gara di intelligenza con Renzo Bossi mi sembra una Missione Impossibile, forse forse, giusto Balotelli poteva farcela. Se in una gara di fascino, tra i tre in questione, la Cartella la metto sul gradino massimo del podio; in una gara di intelligenza... probabilmente la metterei dietro il Renzino e il Marietto. Insomma, questi due sono proprietari di una stupidità statisticamente rilevante.

Ricito a proposito del Renzo: "Ha solo 21 anni, ma per fare quel lavoro deve studiare". Fin troppo facile. Qualsiasi battuta sull'iter formativo della trota è come un'entrata a gamba tesa di Mohamed Sissoko* contro un bambino di tre anni. Una però me la concedo. Il Bossino ha così tanto a cuore lo studio da aver ritenuto necessario approfondire molti argomenti delle superiori, tanto da allungare la sua permanenza. Però è vero che tutte le fatiche e i sacrifici sono ricompensati. Lui da asino di proporzioni nazionale è diventato un politico strapagato.

Che paese di merda.

* Mohamed Sissoko è un centrocampista duro e combattivo di 187 cm e 81 kg.

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Tatuaggi e infradito.

Per una corretta lettura del post, ti consiglio di leggere l'introduzione che trovi qui: INTRODUZIONE. Ti è morto il gatto e chi l'ha morto sono io (I'll be back in Cafonland).

CAPITOLO 1.

In spiaggia ci si mette a nudo è innegabile e, il mettersi a nudo, comporta il mostrarsi interamente e intimamente e senza la benché minima vergogna. Sorvoliamo su reggiseni taglia seconda, protagonisti di imprese epiche, che devono reggere quarte strabordanti, o su tanga, modello filo interdentale, persi in chiappe flacide striate, che riesci a vedere solo quando l'audace proprietaria, improvvisatasi modella per taglie forti, si piega generosamente in avanti per sistemare l'asciugamano a favore di sole. Quel tanga lo vedi, nel pieno del suo incommensurabile dolore e sgomento, urlare "ARIA, ARIA", mentre ti guarda con occhi sofferenti supplicando aiuto. Sorvoliamo anche su quelli (tipo il Re della  Spiaggia qui sopra) che arrivano, si mettono nella posizione zen del "Quattro di bastoni" , e russano per tre ore di fila, svegliandosi con l'alza bandiera in pieno libeccio e la livrea rosso Ferrari. Stendiamo un velo pietoso e passiamo al primo punto del capitolo uno: i tatuaggi.

Non intendo dire che chi ha un tatuaggio è maleducato ma solo, che troppo spesso, viene superato il confine del buon gusto. Secondo una recente ricerca di un'università americana (si dice sempre così quando si vuole dare autorevolezza ad una minchiata di costume), le prossime generazioni potrebbero avere le classiche "voglie epidermiche"  del pigmento dei tatuaggi. Sì, il tatuaggio è così diffuso che entrerà a fare parte del patrimonio genetico, rubando spazio a elementi ormai non più necessari alla vita umana come le sinapsi, i neuroni e/o i tessuti cerebrali. In questi giorni ho assistito ad un campionario di tatuaggi incredibile e qui se volete ne trovate alcuni oltre ogni immaginazione. Dal devoto con il rosario e crocefisso tatuato al collo (salvo poi tirare un porca mado**a ogni dieci minuti) a quello con il nome "ROCCO" tatuato in caratteri cubitali sulla schiena; da quello con la bandiera italiana sulla caviglia che lo faceva sembrare un prodotto low-cost low-quality made in Italy, alla mamma in dolce attesa con un Bart Simpson, nel noto gesto di mostrare le chiappe, in bella mostra sulla spalla. Impossibile tralasciare le citazioni in latino, su corpi dotati di vocabolario italiano ridotto al minimo e privati dell'uso di qualsiasi tempo verbale che non sia presente indicativo o imperfetto, e i Kanji che, con tutta probabilità, sono nomi di piatti giapponesi. Io sono dell'idea che molte persone, invece di profondissime citazioni Zen, sono in giro con scritto sull'avambraccio "Shabu shabu", che altro non sono che fettine di carne di vitello e maiale molto sottili lessate in brodo leggero. Il must, però, tra vari tatuaggi tribali e maori situati in ogni dove, farfalline spiaccicate su decolté improponibili o delfini spiaggiati su girovita, "troppo" girovita, è senza timore di smentite, il tizio smilzo e allampanato con le due scimitarre che incorniciano la scritta "PERSEVERANZA" su un petto piuttosto tisico. Subito dopo aver visto questo popò di capolavoro sono riuscito, con molta fatica, a resistere all'impulso di tatuarmi "PERPLESSITA' E SGOMENTO" sui lombi. Dicevo prima che non associo il tatuaggio al comportamenti incivili, anche se spesso, tatuaggi quantitativamente rilevanti, sono portati a spasso da persone che riescono a indispormi. Rimango dell'idea che è una regola delle buone maniere quella di evitare le esagerazioni.

Esaurito l'argomento tatuaggi, ma  ci sarebbe un saggio in più tomi da scrivere, introdurrei il secondo argomento del primo capitolo. Le comodissime, quanto famigerate e spietate, infradito. Ce ne sono di tutti i colori e le fogge. Il problema è che l'80% (l'ottanta per cento) di chi le indossa non ha conseguito il patentino europeo di camminatore con infradito. Ci vuole così tanto per capire che l'infradito, ma qualsiasi tipo di ciabatta, alza palate di sabbia? E che sarebbe cosa buona e giusta camminare con attenzione e, se possibile, non utilizzare gli asciugamani altrui come cordoli in una chicane di F1? Invece no! Come novelli Alonso e Webber, i piloti di infradito, ti sfrecciano a 250 km/h a 5 centimetri dalla testa, fornendoti un servizio di sabbiature tricologiche non richiesto, quando ti va bene. Nei casi più sfortunati ti ritrovi la spiaggia di Copacabana a ballare samba sulle tue lenti a contatto, mentre avvolto dalla polvere, inutilmente, cerchi di prendere targa e modello delle infradito che ti hanno appena investito.

Leggi il capitolo 2.


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