Benvenuto!

Il solo fatto che tu sia qui già mi gratifica. Che dire di più? Ormai visto che ci sei partecipa, leggi e commenta. Una sola richiesta. Quando te ne andrai non chiudere la porta!

mercoledì 15 ottobre 2014

Alluvione? Ne servirebbe una al mese...



Ovviamente non sono impazzito. Buona parte del mio cuore è genovese, non per il momento particolare che sta attraversando la città, ma perché le mie estati più belle hanno sulle labbra la salsedine di mar Ligure. Perché mia nonna, seppur di origine pugliese, ha sposato un genovese DOC ed io, emigrato in Lombardia, ho la testa nella nebbia e il cuore nel mare.

Sappiamo tutti cosa è successo qualche giorno fa. La stessa cosa che è successa nel 2011. Ha piovuto e la città è stata devastata dalle acque e i genovesi messi in ginocchio. Anzi, no. I genovesi hanno subito molti danni, ma non si sono inginocchiati. Hanno preso atto dell'accaduto e il giorno dopo, come nel 2011, si sono rimboccati le maniche e hanno iniziato a spalare.

Ora non mi interessa dare colpe, parlare di lavori non fatti, burocrazia o altre amenità. Non mi interessa la mediocrità di un paese che si sta suicidando. Preferisco parlare della speranza e della fiducia che questo disastro mi sta regalando.

Dal fango, arrivato con le acque, sono sbocciati i fiori della solidarietà. Migliaia di persone si sono messe gli stivali e i guanti e sono andate a spalare. Tanti altri offrono gratuitamente brioches, cappuccini, focaccia, bibite e panini a chi sta spalando. Altri ancora regalano guanti e attrezzi da lavoro a chi, sprovvisto, vuole rendersi utile. Ecco, questa cosa mi ha colpito moltissimo.

Sono state fatte anche polemiche inutili su extracomunitari che stanno con le mani in mano, ignorando quelli che le mani se le stanno sporcando o su Antonini, giocatore del Genoa, che ha spalato fango con la felpa della sua squadra. Polemiche di questo tipo, le lascio agli imbecilli.

Una cosa vorrei dirla. Domani, settimana prossima, forse fra mesi, Genova tornerà al suo splendore. Il cielo, grigio e piovoso, tornerà ad essere limpido e sferzato dal vento. Voi Genovesi, però, non dimenticate quello che è successo. Diventate parte attiva nella protezione della Vostra città e alle prossime votazioni usate il buon senso.

Sopra di tutto, però, non dimenticate la magia di questi giorni. Il sorriso di quel ragazzo che, non conoscete, ma vi si è presentato offrendo il suo aiuto. La solidarietà di questi giorni. Il piacere di offrire qualcosa che sia un panino, un paio di guanti da lavoro o il proprio tempo per aiutare chi l'alluvione l'ha subita.

Quest'alluvione insieme a tanti disastri, ci ha ricordato che la natura, con dolcezza o violenza, si riprende sempre ciò che le è stato tolto e la solidarietà dei genovesi, in questi giorni, ha rimesso ordine in una scala gerarchica stravolta, dando il primo posto all'uomo e scalzando il denaro.

Sarebbe bello che fosse sempre così ma, forse, per dare il meglio dobbiamo sempre vivere il peggio.

Forza Geno(v)a

mercoledì 19 marzo 2014

Una festa molto pa-pà-rticolare

Oggi come tutti saprete è la festa del papà. Il mio in questi giorni è impegnato in un tagliando ospedaliero che, spero, lo rimetta a nuovo e gli faccia fare ancora qualche migliaio di km. Perché ad una certa età, i genitori, diventano come le macchine o le moto da collezione. Avete presente i maggioloni anni '60, oppure le Guzzi tipo la v-70? Passano gli anni ma conservano intatta tutta la loro storia ma, di contro, perdono un po' di affidabilità.
 
Mio papà è così. Uno moto anni '60 che ha assaggiato le strade quando abs, manopole riscaldate, gps non erano nemmeno fantasia. Ora, dopo km e km, capita che si ingolfa un po' e bisogna andare dal meccanico. I pezzi, però, sono sempre più difficili da trovare.
 
Oggi, dicevo, è una festa del papà particolare per me. Particolare perché, per la prima volta, ho il duplice ruolo di figlio e anche di padre.
 
I miei genitori mi hanno sempre detto che da piccolo sono stato un bel rompicoglioni. Ho iniziato a dormire decentemente verso i tre anni. Prima erano solo microsonni di un quarto d'ora. Mamma e papà stavano diventando pazzi. Per non parlare del mangiare. Li ho fatti dannare fino a sei anni. Quando mi raccontano della mia infanzia, dicono sempre che, se fossi stato il primogenito sarei rimasto figlio unico. Grazie al cielo non è andata così. Ho anche una sorella.
 
Più tardi andrò a trovare mio padre e gli farò i miei auguri che poi, chissà perché, vorrei sempre dirgli milioni di cose che, però, mi si strozzano sempre in gola. E allora ci abbracciamo, restiamo per qualche secondo uno nelle braccia dell'altro, e poi ci scambiamo uno sguardo che vale mille parole. E' che io e mio padre siamo di poche parole. Sappiamo leggere e comprendere il significato dei gesti.
 
Poi tornerò a casa e prenderò in braccio mio figlio, quell'omino dal visino tartarugoso, e me lo terrò un po' in braccio, gli passerò le dita sul collo morbidino, sperando che mi sorrida. Anche lui come me, dorme poco di notte e fa microsonni. Sono tre mesi che la notte è un terno al lotto e quando la sveglia suona alle 6.40 mattina, fa più danni del Mjolnir. Mi trascino in bagno, mi lavo la faccia e bevo un caffè. Alle 7 sono già distrutto. Prima di uscire però vado a salutare mia moglie e il piccolo dittatore. Se sono fortunato è sveglio. Allora lo accarezzo sotto il collo e, forse, per farsi perdonare della notte in bianco, mi regala un ghé con un sorriso a piene gengive. I suoi sorrisi sono bellissimi, mia moglie dice che gli occhi si trasformano in piccole lune.
 
Quel sorriso per me vale tutto, forse di più. Ed è strano pensare che fino a qualche mese fa, non esisteva. Mi avvicino al suo viso, sfioriamo le punte dei nasi e la mia stanchezza si volatilizza.
 
Poi esco di casa e, mentre chiudo la porta, spero che mio figlio un giorno sarà orgoglioso di suo padre, almeno la metà di quanto io sono orgoglioso del mio.