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giovedì 29 luglio 2010

Il mio amico Eric.

Eric Cantona è stato un giocatore francese talentuosissimo e con un carattere particolare. I tifosi del Manchester United lo avevano ribattezzato Dio e lo consideravano un Re. E' uno dei pochi francesi ad entrare nel gotha del calcio inglese. Il suo talento e la sua classe sono fuori discussione, la sua personalità, invece, è oggetto di tante discussioni. A me è sempre piaciuto. Personaggio tosto e poco incline a piegare il capo. Dopo un episodio negativo, quando aggredì un tifoso che lo aveva insultato, rimase in silenzio per diverse settimane, poi indisse una conferenza stampa, probabilmente la più famosa mai tenuta da un giocatore, dove dichiarò:
"Quando i gabbiami seguono il peschereccio è perché pensano che verranno gettate in mare delle sardine".

Torniamo al film. Commento semplice ma chiaro: è bello. Soprendente anche l'interpretazione di Cantona. Ken Loach descrive la storia di Eric Bishop, un postino che sta subendo la vita. Vive nel dolore del ricordo della ex-moglie, in balìa di due figli adolescenti sbandati. Una vita di depressione. Di contro ha una cerchia di amici-colleghi che cercano di aiutarlo in ogni modo. In uno di questi tentativi organizzano un gruppo di auto-aiuto nel quale devono mettersi davanti ad uno specchio immaginario e provare a guardare la vita con gli occhi di una persona che stimano. Grazie anche ad un bella fumatina di erba, che Eric ruba al figlio, il nostro protagonista riuscirà a vedere Eric Cantona. Sulle prime mi è venuto in mente "Provaci ancora, Sam". L'idea è più o meno la stessa, ovvero un alter ego importante (in quel caso Humprey Bogart) che aiuta il protagonista sfigato. La trama però è differente. Non posso raccontarla perché vi rovinerei il piacere di vederlo.

Posso solo dirvi che è un film molto bello e ben fatto. Un ottimo equilibrio tra commedia e dramma. L'aspetto che più mi ha colpito è il tema della positività del mito. Il calciatore famoso abituato ai grandi trionfi, al goal davanti a 60.000 persone, si ritrova ad interagire con le piccole, poi nemmeno troppo piccole, criticità quotidiane dell'uomo comune. Eric Cantona, famosissimo per la sua celeberrima conferenza stampa che si concluse in una sorta di aforisma, dispensa consigli al postino. Non sono mai consigli diretti ma parole accennate, adatte a stimolare e fare pensare. Piano piano Eric Bishop riprenderà le redini della propria vita, perché "per sorprenderli, devi prima sorprendere te stesso"; mentre lo spettatore capirà che un uomo comune puo' essere anche un mito, perché spesso il mito non è altro che un uomo comune che ha avuto il coraggio di rischiare.

mercoledì 28 luglio 2010

Così semplice da sembrare idiozia.

Ho messo le mani in tasca, dando le spalle al mondo, e me ne sono andato. Prima di farlo ho pisciato nelle botti di vino e fatto cose ben peggiori al cibo di coloro che rimanevano. Mi hanno accusato di pazzia, di aver perso interesse in tutto. Non è che non mi interessasse più nulla, anzi, è l'esatto contrario. Mi riusciva sempre più pesante sopportare l'umiliazione delle arti, del pensiero e della libertà. Per questo ho deciso di allontarmi, nessuno potrà accusarmi di complicità. In tutto e per tutto ora sono libero e innocente, almeno nelle intenzioni. Ora, qui dal mio rifugio, posso scrivere poesie per sordi, comporre canzoni per muti e dipingere quadri per ciechi. Non è affatto assurdo tutto questo, non è tempo perso. Il tempo veramente sprecato è scrivere poesie, comporre canzoni e dipingere quadri per persone prive di cuore. Però tornerò, quando tutti si saranno dimenticati di me, tornerò. Devo ancora capire se per annientarli o per aiutarli a capire o, forse, per entrambe le cose.

Qualcuno scrisse "Meglio scrivere per se stessi, e non avere pubblico, che scrivere per il pubblico e non avere se stessi". Condivisibile, condivisibilissimo. A volte mi viene da pensare che queste parole siano molto più efficaci dei dieci comandamenti.

giovedì 15 luglio 2010

Sonetàula: come si diventa banditi.

Mi sbilancio subito: è un film bellissimo, tratto dall'omonimo romanzo di Giuseppe Fiori. Sicuramente non è per tutti ma è, senza dubbio, uno dei migliori film recenti che ho visto negli ultimi anni. E' il romanzo di formazione di Sonetàula, giovane servo pastore sardo. La storia scorre lenta, come i passi dei pastori sulle montagne, come le giornate passate a curare le bestie. E' un film riflessivo, che alterna la vita di Sonetàula ad episodi storici di portata differente, come la guerra sullo sfondo o il semplice arrivo della luce in paese. La storia inizia con il protagonista tredicenne, siamo nel 1938, che vede partire il padre, per andare a lavorare in fabbrica, in continente. Questo è quello che crederà il giovane, fin quando le splendide figure di riferimento, il nonno e lo zio, gli spiegheranno che Egidio, il padre, è al confino, accusato ingiustamente di omicidio. Da quel confino il padre non tornerà più. Sonetàula, si ritroverà a lavorare, nella durissima ma splendida terra sarda, fin quando arriverà al bivio tra legalità e latitanza.

Il film è in lingua originale, il sardo praticamente incomprensibile, con sottotitoli. E' una scelta discutibile. E' apprezzabile perché la barriera linguistica accentua e approfondisce il significato di solitudine e il concetto di "Sardegna come mondo a sé" ma, d'altro canto, è piuttosto sfiancante dover leggere dialoghi per più di due ore. Il rischio è di perdere particolari della narrazione. Per il resto, è un film lungo, ma ogni minuto è perfettamente funzionale e giustificato nell'economia della trama. Gli attori, che non conoscevo, sono terribilmente credibili: gli si legge in volto l'asprezza della vita di pastore.

Sonetàula risponderà ad uno sgarbo, sgarrettando il gregge del provocatore. Denunciato, non si presenterà ai carabinieri. Si ritroverà così latitante, vittima di un destino che sembra geneticamente ereditario. E' bandito ma nel senso di esiliato, costretto all'esilio da una istituzione nella quale ha perso fiducia. Così vive Sonetàula: in bilico tra la vita del bandito e l'amore per Maddalena, sposa di Giuseppino che si è integrato nella "modernità", lasciando la tradizione sarda per fare il lamierista. Non ci sono musiche (con l'eccezione di in una scena), solo parole di uomini e i silenzi dei monti. Il regista racconta con grande empatia, ma senza patetismi, o giudizi di sorta sulla scelta di Sonetàula. Ci mette di fronte al fatto compiuto, senza sentenziare, e questo è un punto di forza del film. A noi, ai nostri occhi e al nostro cuore la decisione di assolvere o condannare Sonetàula. Il film ci insegna che non sono i posti sperduti, o le cattive esperienze, a rubarci l'innocenza ma il modo con il quale attraversiamo questi posti e rispondiamo alle avversità. Sonetàula vive con dignità e coraggio, anche quando tutto è contro di lui; quando gli vengono sottratti il nonno e la madre e Maddalena avrà un figlio con il suo amico. Non ci sarà odio, anzi, si vorrebbe sacrificare con un gesto magnifico. Arriverà la morte e, mai come in questo caso, sarà liberazione. Il paradosso della liberazione di un uomo che è sempre stato libero.

mercoledì 14 luglio 2010

(unPOdiESIA): Riarrangiamenti, pulizia e ripensamenti

 
Ricordo i ricordi
Come giocattoli in disuso 
Raccolti e dimenticati
In scatoloni ricoperti di polvere 
Lì ci sono finito anche io 
Come un vecchia bambola 
Gettata nell'oblio 
Solo per l'arrivo della novità 
Ora ripulito dal tempo 
Guardo fuori 
Vedo il vento e la luna 
Abbracciare il cielo
La mia anima ancora canta
E quella canzone sei sempre tu
Un tempo avevamo tutto
E potevamo cavalcare i sogni
Fino alla fine del mondo
Contro ogni equilibrio 
Riusciremo ancora 
Forse domani 
A ritornare ad essere 
Quello che eravamo 
Se tu ci proverai 
Io ci riuscirò 
Se io ci proverò 
Tu ci riuscirai 
E nessuno potrà 
Frapporsi tra me e te 
E ci baceremo 
Con impeto inumano
E tutti chiuderanno gli occhi
Per non vedersi illusi 
Di vivere
In quello che credono amore
Così sarà 
Nonostante ora sia tutto 
Da riarrangiare ripulire ripensare 
Lo faremo insieme 
E se non ci sarai 
Farò io anche la tua parte 
Placherò il mare e le sue onde 
Sarò nebbia sottile 
A protezione del tuo sonno
Sarò brezza tra le foglie di menta 
Bagno di pietre preziose 
Per levigare le asperità del mio carattere 
Sarò ali per i tuoi voli pindarici 
Riserva di entusiasmo per i tuoi giorni grigi 
Sarò paura per quando mancherai di prudenza
Sarò tutto quello che sei tu per me.

martedì 13 luglio 2010

Il variegato mondo del porno

Ieri su google ho cercato qualche informazione sul tipo che, a Roma, è entrato nudo al Pantheon. Scrivo "nudo pantheon" e premo invio. Trovo un link, che mi sembra pertinente, e clicco. Trovo la notizia ma si aprono finestre a go-go e mi ritrovo catapultato nel fantastico e variegato mondo del porno. Mi vergogno un po' ma ho ceduto alla tentazione e ho navigato nel peccato.

Ricordo ancora i pomeriggi nei quali, insieme a compagni di avventura, adolescevamo insieme e capitava di imbattersi in qualche rarissima vhs a luci rosse. E per rarissima intendo veramente rarissima. Quando avevo sedici anni, ritrovarsi per le mani una vhs a luci rosse, era un evento memorabile. Perché poi dovevi trovare l'amico con la casa libera e il videoregistratore. Cose incomprensibili per i giovani di oggi. Poi il porno aveva un'immagine completamente differente. Almeno, per me era qualcosa da condividere con gli amici. Sedersi sul divano frementi e far partire il film, con tutti i risolini imbarazzati e imbarazzanti di quell'età. La cosa assurda è che l'intento era di guardarlo tutto, seguirne la trama. La prima volta ricordo la perplessità generale. Arriva il postino che consegna le bollette del gas e si tromba la proprietaria di casa. In un'altra casa consegna un pacco e si tromba la cameriera; la giornata di lavoro si conclude con una raccomandata e il colpo gobbo con le due sorelle. Dando per scontato che, nel giro di pochissimi minuti, il problema trama si è polverizzato, sono sorte numerose domande e una certezza. La domanda: quanto faticoso è fare il postino?! La certezza: ho capito perché la posta è sempre in ritardo!

Comunque quei rari pomeriggi di trasgressione, si concludevano dopo appena venti minuti. Il mistero del porno si scioglieva subito. Alla prima trombata, dove praticamente si vedeva dal colon alle tonsille, qualsiasi fascino si vaporizzava. Noi con i cuscini in grembo, ci guardavamo e con voce che dall'eccitato degradava all'annoiato-nauseato, uscivamo a giocare a pallone.

Io che ero convinto del mio status di uomo di mondo, ieri mi sono accorto di essere un chierichetto. Ho scoperto un panorama vastissimo. Non che abbia intenzione di frequentarlo, anzi. Però è veramente un mondo inesplorato. Il porno, che io credevo solo scopate etero-gay-lesbo, in verità ha una serie infinite di categorie. Alcune da fare venire i brividi. Per me un  pornazzo ha senso con qualche bella gnocca che fa numeri da circo. Altri preferiscono le "mature". Le MILF sono una categoria ricercatissima. Estremizzando il concetto di mature si passa alle granny. Avreste mai pensato vostra nonna ottantenne girare film porno? Ebbene sì, c'è anche questo genere. Incuriosito, mi sono messo a cercare un po' online. Ho scoperto cose inimmaginabili. Come il genere "animal" che, suppongo, rende inutile qualsivoglia spiegazione, il pissing, il figging  che consiste nell'infilarsi nel  culetto dello zenzero fresco (giuro!!) e tanti altri. Io ritengo che nulla che esiste in natura, possa essere contro natura. Il discorso è da centrare sul fatto che i partecipanti siano consenzienti o meno.

Una cosa però mi stimola... il pensiero. Il genere MILF per esempio, che sarebbe a dire Mother I'd Like to Fuck, genera una sorta di (finto) inganno. Suppongo che lo spettatore, sia ben cosciente che i vari filmati titolati "Eccitante madre cavalca l'amico del figlio", siano finzione cinematografica. Quella supposta madre in realtà è una nota pornostar e il figlio pure. Me ne sono accorto io in dieci minuti., mi auguro che ne siano coscienti tutti gli altri.

Eppure il porno vende tantissimo e non mi capacito del perché. Avrebbe avuto senso quando ero adolescente io. Arrivare ad un filmato porno era impresa ardua e, tutto sommato, visti i costumi sessuali della mia giovinezza, se ti smanettavi con una vhs era comprensibile. Ma oggi? Basta accedere ad internet, andare su youporn, scegliere la categoria preferita (eh sì, è tutto catalogato per preferenze) e togliersi qualche soddisfazione fisica. Però dovrebbe essere l'ultima spiaggia. Io ho quasi quarantanni e negli ultimi sei, ho lavorato a diretto contatto di gente in vacanza. Ho potuto vedere quanto i costumi sessuali siano diventati liberi. Con un minimo di capacità, simpatia e acume, un po' di compagnia la si trova senza troppi problemi. Ma allora perchè il porno tira tanto?  

lunedì 12 luglio 2010

Una domenica nella città morta.

Sabato sera, con la mia bella, ci eravamo ripromessi una rilassante domenica al lago. Preparati i panini, l'acqua, gli asciugamani e, sistemato financo l'ombrellone sulla moto, partiamo. Giunti alla meta, triboliamo un po' per trovare il posteggio per la moto e scendiamo in spiaggia. Caldo, cocci di vetro, rami di rovi puntuti e dopo mezz'ora, di comune accordo, leviamo le tende. Un fresco gelato e ritorno a casa. Condizionatore a palla e un paio di orette di fresco sonno. Ritemprate le membra, si riesce. Pieno alla moto e vaghiamo senza meta, salendo sui colli brianzoli alla ricerca della frescura delle fronde. Girando e girando ancora, finiamo a Consonno. Un paesino sconosciuto ai più con una storia tutta da raccontare. Consonno è una frazione di Olginate, in provincia di Lecco. Fino agli anni '60 è un villaggio di contadini che coltivano i campi e allevano gli animali. Il paesino, situato a circa 700 metri sul livello del mare, è collegato a valle con una mulattiera che, praticamente, lo lascia isolato dal resto. La sua storia comincia probabilmente nel medioevo e, caso più unico che raro, finisce bruscamente nel 1962. Il Conte Mario Bagno mette gli occhi su questo paesino, con una vista meravigliosa sulla Brianza e decide di costruirci la Las Vegas italiana. 
Il paesino (qui in in una foto del 1953), viene raso al suolo in maniera selvaggia e indiscriminata. I vecchi abitanti raccontano che le ruspe abbatterono le case, mentre i proprietari ne uscivano con le poche cose che riuscivano a salvare. Insomma fu uno scempio totale. Venne disintegrato un paesino di 200-300 anime, con la scuola, i campi e tutto il resto. Si salvò solo la chiesa di San Maurizio e il cimitero. Sulle macerie sorsero un albergo, il salone da ballo, un night e centomila altre cose bislacche e assurde. Cannoni, pagode, piramidi, minareti, negozietti kitch e mille altri progetti che, per fortuna, rimasero solo nella testa dell'ideatore. A fine anni '60 di Consonno non c'era più nulla. Il Conte bagno era riuscito a portare migliaia e migliaia di turisti, facendone un punto di mondanità impensato. Le serate danzanti ospitarono artisti del calibro di Milva e Patti Pravo, al loro apice di carriera. Il ristorante era sempre zeppo di pranzi e cene di nozze. Poi il nulla. La natura si ribellò e una frana, isolò nuovamente la zona. In pochissimo tempo il declino e, l'antico borgo medievale di Consonno morì la seconda volta. In seguito il Grand Hotel fu convertito in casa di riposo ma durò poco anche questa.
Oggi è possibile visitare la città morta, i cimeli rimasti dei fasti di un sogno fantastico o demenziale. Nella foto qui a fianco vedete i resti dei negozi e in fondo il minareto. Di sicuro si respira l'aria di un grandissimo abuso edilizio, fatto in pieno boom economico, ai danni degli abitanti che rimasero in un colpo solo senza casa, senza più una vita sociale e senza ricordi. Il tutto fu possibile perché al Dio denaro è impossibile dire di no.
Potrebbe essere una meta originale per una gita fuoriporta. Per chi volesse darci un occhio, guardatevi il filmato che segue tratto da Figli d'Annibale, girato proprio a Consonno.


Tutto il materiale fotografico di questo post è stato preso da qui: La Storia Di Consonno, Da Borgo A Città Dei Balocchi. Fateci un salto perché è veramente interessante. Un'ultima cosa. Siete a conoscenza di storie simili a quella di Consonno? O, meglio, avete informazioni, foto o altro di Consonno?

sabato 10 luglio 2010

Alla conquista dell'inferno in skateboard!!

Ieri sera ho mangiato un gelato gusto cioccolato e menta, buonissimo. Avrei voluto prendere gusto puffo ma, ignoro il perché, quando mangio gusto puffo poi mi chiudo in casa ad ascoltare tristissimi blues.  Questa mattina mi sono svegliato e ho messo a palla Wig! di Peter Case, suggeritomi dalla teiera volante. Dopo aver fatto i miei soliti 10 minuti di air guitar su House Rent Jump, ho fatto un giro online. Siccome faceva troppo caldo sono rientrato subito a casa. In maniera inopinata mi sono imbattuto (lo sono da cinque partite consecutive) in questo articolo. Sono completamente d'accordo con gli agenti che hanno arrestato il malvivente, anzi, per me sono stati ancora clementi. Io gli avrei anche tolto la playstation per un mese. Inizialmente ho risposto con un commento ma mi è sfuggito di controllo. E' venuta una cosa lunghissima e ho pensato - visto che oggi non sai che cavolo scrivere, usa questo commento per farci un post! - Idea geniale!!!

Caro colonnello Kurtz,
é comprovato che i delinquenti iniziano proprio da piccoli. Io sono cresciuto in un quartiere povero. Ero poverissimo, talmente poverissimo che la povertà aveva ucciso ogni forma di  riscatto e ambizione, tanto che non mi volevano nemmeno le gang  di quartiere. Mi ricordo che era di maggio (cit.) quando conobbi Yuri, Misha e Sergey. Tre immigrati russi che contabbandavano matrioske nascondendole nelle buste della cocaina. Yuri era bello, alto, intelligente e parlava tremendamente bene il russo, nonostante fosse nato a Mosca e ci avesse vissuto solo 34 anni. Misha era alto e cattivo, incuteva diffidenza e, per via del nome, era gay. Sergey aveva una lunga cicatrice sul viso che partiva dalla tempia sinistra, sfiorava l'occhio e arrivava parecchio sotto lo zigomo. Sembrava una luna stilizzata. Sergey era un terribile cazzaro, inetto e fanfarone. Si provocò quella cicatrice con le proprie mani, solo per darsi un tono da gangster.  

Ti starai chiedendo embè? 'n attimo... e che cazzo sei nato al primo dolore? Continua a leggere e capirai perché un scheitbord è pericoloso.
Yuri iniziò aiutando la mamma a stirare, poi le rubò l'asse da stiro. Qualche mese dopo l'amico Misha, illuminato da un'idea, rubò i pattini a sua sorella e li montò sotto l'asse. A dire il vero il lavoro inizialmente fu affidato a Sergey che, in quanto inetto, ne mise un paio per facciata dell'asse. Misha lo gonfiò di botte e rimediò. Si trovarono per le mani il primo mezzo per una rapina. Con quello skateboard tentarono di svaligiare le poste di Belgorod. Il pieno inverno, e le strade ghiacciate, rese inutile l'utilizzo del skateboard. Scapparono di corsa con le pelli di foca ai piedi. Sergey, inetto cronico, fu raggiunto e preso da una ottantenne zoppa. Si salvò solo grazie all'intervento di Yuri. Dopo due anni e tre mesi perfezionarono il colpo e riuscirono a svaligiare la Banca nazionale russa di Piazza Teatral'naja. Pochi mesi dopo, colpirono una zecca finlandese e, nel giro di pochissimo, divennero notissimi negli ambienti malavitosi come la Banda della Maljinanjia. Esportarono il loro traffico anche all'estero, instaurando fortissimi rapporti di lavoro a Roma con il Libanese e i suoi sgherri. In un eccesso di delirio di onnipotenza tentarono anche di ingaggiare Tony Hawk! Nella loro pluridecennale carriera hanno ucciso centinaia, ma che dico centinaia, decine di uomini e nei modi più efferati. Bartok "la lama" l'hanno fatto esplodere con micidiali cocktail di cocacola e mentos; Ismael "il cicciolo" con l'ascolto continuo di Gigi D'Alessio; a Piotr, reo di aver tradito, gli tatuarono sulla schiena il volto di Marco Carta con la scritta "I love him". Inutile dire che Piotr, si suicidò. Potrei continuare ancora ma il mio psichiatra dice che devo riposarmi un po'.

Tutto questo per farti capire a cosa porta un scheitboard non omologato! 

venerdì 9 luglio 2010

Il terribile rumore del silenzio...

Oggi non scriverò nulla, se non queste brevi righe. E' la mia adesione allo "sciopero del silenzio" contro il ddl intercettazioni. Quasi tutti gli organi di informazione hanno aderito. Il Giornale no e il suo direttore, Vittorio Feltri, qui spiega il perché. Per fare una battuta, ed essere un po' ironici, tra lo sciopero del silenzio di oggi e le giornate precedenti, non mi sembra di avvertire tutta questa differenza.
Però, due righe in più vorrei spenderle. Ho letto la spiegazione di Feltri e, di seguito, anche i commenti dei lettori de Il Giornale. Mi sono stupito del clima goliardico, quasi da tifoseria calcistica. Chi legge Il Giornale sberleffa la Repubblica, L'Unita.  Per la precisione, questo atteggiamento si ritrova anche nei lettori dell'altra parte. Per quanto mi riguarda ritengo che la vera libertà di stampa, e la conseguente libertà di espressione e pensiero, stiano più negli occhi di chi legge che nella penna di chi scrive. Per come la vedo io, la vera libertà di informazione è proprio negli occhi di chi legge. E' come pensare di andare per mare. Quando sei in mezzo ad una immensa e sconfinata distesa d'acqua, non puoi avere un solo punto di riferimento, perché se ti venisse a mancare, o se per mille motivi lo confondessi con qualcosa d'altro, saresti finito. E' per questo che è necessario confrontare più voci. La libertà è un'azione attiva. La libertà non si subisce. Si subiscono le violenze, le umiliazioni, la prigionia.
E' per questo che, quando posso, mi informo leggendo più giornali, senza schifarmi di prendere in mano Il Giornale o la Repubblica. Perché la vera libertà di stampa sta nel mezzo, o meglio, nella loro unione. Quando gli organi di informazione, di correnti diverse si accoppiano, spesso generano spirito critico in chi legge. Quando Il Giornale mi dice che mi trovo in Italia e la Repubblica insiste a dire che sono in Francia, il mio spirito critico, sempre che non si sia rincoglionito, vedendo davanti a sé Buckingham Palace mi farà capire che mi stanno raccontando balle.

Tutto qui.

giovedì 8 luglio 2010

La sento ma non riesco a vederla...

Sono sul divano e mi rilasso, a volte leggendo altre guardando la tv, e aspetto. Aspetto che ritorni  per condividere le nostre giornate, sorriderci, semplicemente guardarci... in silenzio. La lettura o la tv, troppo spesso, diventano palpebre pesanti, dormiveglia, incoscienza. Succede sempre così. Poi, all'improvviso, sento le chiavi nella toppa, la porta aprirsi: i suoi passi decisi, i suoi movimenti netti e definiti, come se dovesse comunicare alla casa la sua presenza. Sono in salotto sdraiato sul divano, non la vedo ma la sento. La immagino sfilarsi il cappotto, la sciarpa, il cappello; percepisco il freddo che si è portata addosso. Entrando in casa ha portato l'inverno. So già cosa farà nei prossimi trenta secondi: toglierà gli stivali e appoggerà i piedi a terra, in un lento e personale rituale ancestrale, accarezzando il pavimento per ricevere in cambio energia, poi si dirigerà in camera da letto per togliersi i vestiti. Quello che rimetterà domani lo piegherà sulla sedia, il resto nel cesto in vimini in bagno; riporrà orecchini, anelli, collane nel portagioie verde acqua a sinistra del lavabo. Farà tutto questo parlandomi, ma io non capirò nulla. La disposizione delle stanze non aiuta a capire il discorso. Arriverà solo il suono della sua voce. Di solito, mi basta quello per capire se è stata una buona giornata o no. Dopo tanti anni avverto la tensione, l'allegria dalla sua voce ma anche dal peso dei suoi passi. Le brutte giornate portano una camminata lenta e una voce più acuta del normale. Acuta ma mai sgradevole. Qualche volta, prima di raggiungermi in sala, passa dalla cucina, apre il frigo e beve il succo di mirtillo; non è raro che sgranocchi qualcosa in attesa della cena. La sento ma non la vedo ancora. Passato il torpore del dormiveglia, mi alzo per andarle incontro. Come al solito capirà che stavo dormendo e, baciandomi, mi prenderà in giro con il solito tormentone del beatotecheesciprestodallavoro. Rimetto in un minimo ordine divano e cuscini e la raggiungo. Attraverso salotto, ingresso e il breve corridoio che mi separa dalla cucina. La sento chiudere il frigo. Faccio piano, voglio sorprenderla, farle uno scherzo. Sono vicino alla porta. Non mi vede. BUU!
 
Non si spaventa, però. Non lo fa da tempo. Da quando ha smesso di rientrare. E' molto peggio quando la sento vicina di notte, sotto le lenzuola, con le sue labbra sulla mia spalla, mentre mi accarezza il viso. Tutto sembra così reale, mentre è solo autosuggestione.
(Immagine: Marc Chagall, A Dream of Lovers)

mercoledì 7 luglio 2010

Lie to me: una bugia fa in tempo a viaggiare per mezzo mondo mentre la verità si sta ancora mettendo le scarpe.

La settimana scorsa, causa il caldo torrido e afoso, ho acceso il condizionatore e mi sono piazzato seminudo sul divano in sala. Ho acceso il tivvì e ho iniziato a fare zapping. Su Fox, un canale Sky, mi sono imbattuto nel viso enigmatico di uno dei miei attori preferiti: Tim Roth. Per chi non lo conoscesse, consiglio assolutamente di guardare Rosencrantz e Guildenstern sono morti, Le Iene e/o La leggenda del pianista sull'oceano. In un altro post devo assolutamente parlarvi anche di Zona di Guerra (1999) un film durissimo del quale è regista.

Torniamo a me che faccio zapping e mi trovo faccia a faccia con Tim. Io non amo le serie tv. Non è un atteggiamento snob, anzi. E' una questione di metodo. Le serie tv le percepisco come libri che puoi leggere per metà, per poi attendere l'anno successivo per sapere se termina o continua. Sono state tante quelle che mi hanno coinvolto: Deadwood, Lost, Heroes, Frasier, Californication, Il mio nome è Earl. Il problema è che il mio corpo manca dell'enzima che gli permette di concentrarsi e allinearsi alla loro tempistica. L'unico modo che ho per seguire una serie tv è aspettare che finisca, procurarmi il dvd e guardarmela in full-immersion.

Così mi sono imbattuto in Tim Roth e Lie to me. E' la storia di uno studioso di linguaggio del corpo esperto in microespressioni. Gli episodi sono girati molto bene, i dialoghi sono molto ben costruiti e le storie, di ottima qualità, sono supportate anche da filmati e documenti fotografici di processi e avvenimenti reali. Se state pensando che è una buffonata, posso solo dirvi che il tutto ha delle notevoli basi scientifiche, poste sul lavoro di Paul Ekman, notissimo psicologo statunitense professore di psicologia al Dipartimento di Psichiatria dell'Università della California. Il tutto parte dalla scoperta che alcune espressioni del visto, che trasmettono le emozioni, non hanno una determinazione culturale ma sono universali nella cultura umana. In poche parole, come aveva già detto Darwin, le emozioni (rabbia, vergogna, dolore, disprezzo, ecc...) si tramettono in quelle che si chiamano microespressioni e sono un patrimonio comune a tutta l'umanità.
La fortuna ha voluto farmi imbattere proprio nel primo episodio della prima serie. E' stato un contagio immediato e mi sono dovuto procurare tutti gli episodi. La prima serie è volata via in un attimo. La cosa assurda, che sconfina nel patologico, è che ho iniziato a prendere appunti sulle microespressioni e l'altra sera ho fatto un esperimento. Ho registrato il discorso di un politico in tv e me lo sono riguardato al rallentatore. Se prendo per buono quello che ho imparato da Lie to me, il politico in questione, non stava mentendo... stava solo recitando il discorsetto a memoria senza, per altro, credere a quello che stava dicendo.
Inutile aggiungere che ne consiglio caldamente la visione, non di Gaspar.. ops!, di Lie to me. Se volete fare 30 bé, fate 31 e guardatevelo in lingua originale. Poi tornate qui e ditemi che ne pensate e non provate a mentirvi... vi smaschererei senza problemi!!

martedì 6 luglio 2010

Wolfman: se esiste il lupo, allora esiste anche Cappuccetto Rosso.

Qualche giorno fa sono andato a vedere Wolfman con Benicio Del Toro. No, non è che io e Benicio siamo andati a vedere il film insieme... vabbé dai, ci siamo capiti. Non è un capolavoro della cinematografia mondiale ma è guardabile, magari in una serata fra amici. La storia è quella del licantropo con l'immancabile parallela storia d'amore con il classico fine redentorio, fine nel senso di scopo, non finale del film. La sceneggiatura non offre nulla di innovativo o, almeno, originale ma ciò nonostante, è un film che si può guardare.

Il tema principale è sempre l'uomo e la bestia che nasconde o, meglio, la bestia e l'uomo che la nasconde. Sì perché in effetti non è del licantropo che bisogna avere paura. Il licantropo sappiamo benissimo che, in quanto tale, uccide. E' nella sua natura di lupo. Il licantropo non inganna, si sa benissimo da che parte sta e come si comporterà con l'avvento della luna piena. E' da stupidi credere il contrario. Il vero mostro, però, è l'uomo che sa di essere licantropo. Cosciente del suo mistero orribile e che non fa nulla per evitare l'orrore. E' l'uomo e le sue ipocrisie e ambiguità che bisogna temere. Perché lui, un nostro simile, lo accogliamo nella nostra casa, alla nostra tavola senza immaginare quello che nasconde. E quando quell'uomo è anche un nostro famigliare, magari il padre assassino di nostra madre, le persone normali buttano la paura e l'atrocità nell'inconscio, concentrando la mente cosciente su altro, su sostituiti meno orribili che scagionano la realtà.

In fondo, però, anche l'orrore ha i suoi lati positivi. Perché se basta una luna piena per trasformare l'uomo in feroce lupo, allora vale tutto. Se esistono il licantropo, il demonio, il male esistono anche le fate, il folletti, Peter Pan, il bene; magari in numero minore ma sapere che esistono è già motivo di conforto.

domenica 4 luglio 2010

Susana e il fado: il destino come colonna sonora.


Fu Fernando a dirmi che i portoghesi altro non erano che brasiliani tristi. Susana era di madre brasiliana e padre portoghese, e aveva combattuto una vita intera, senza riuscirci, per vivere la sua allegria senza pagare pegno alla tristezza. Susana aveva lunghi e lisci capelli neri e occhi color petrolio. Susana era bellissima, come una giornata di pioggia all'Ilha de Tavira. La prima volta che ci parlammo fu in un bar, dove ci eravamo riparati da un acquazzone estivo. Non ricordo per quale strano gioco del destino, ci ritrovammo allo stesso tavolo, bagnati zuppi a bere Ginjinha. Un attimo prima sconosciuti e l'attimo dopo amici. Quando il sole ritornò a splendere, passeggiammo per Lisbona fino al tramonto. Susana, nel bel mezzo del nulla, scivolando con le sue labbra sulle mie, disse "quero um beijo". Mi invitò a casa sua. Susana mi amava più di quanto amasse se stessa, ma Susana non si amava affatto. Quella sera non cedetti al suo invito, perché Susana non aveva negli occhi il furore del cacciatore che uccide la preda per mangiarla. Voleva solo uccidermi per il semplice gusto di farlo, per dimostrarsi che poteva buttarsi via senza remore e rimpianti. Io non volevo diventare un trofeo appeso sopra il camino. Volevo essere ucciso e mangiato. Non volevo morire per diventare simbolo di una disperata e inutile vanità.

Susana sapeva fare l'amore in maniera furiosa. Era come trovare l'acqua dopo una vita di siccità; come sopravvivere nudi in una tormenta di neve. Un'esperienza estrema, dolorosa e unica. Io non ho mai fatto l'amore con Susana. Mi piaceva moltissimo, ma non credo di averla mai amata. Spesso andavo a sentirla cantare fado nei locali del Bairro Alto. Sembrava nata per cantare fado. Era l'unico momento della sua esistenza che la metà brasiliana e quella portoghese riuscivano a convivere, senza dilaniarla. L'ultima volta che la vidi, fu in una notte di settembre. Mi dedicò "Estranha Forma De Vida". Poi uscì dal locale, quasi scappando. Era stravolta. Aveva combattuto strenuamente, vincendo qualche battaglia ma, quella sera, la tristezza aveva vinto la guerra contro la vita. Il suo bellissimo viso truccato, sembrava quello di uno dei Kiss, dopo una giornata di pioggia. Non la vidi mai più.

Amalia mi raccontò che, il giorno dopo, la trovarono con gli occhi ancora bagnati di pianto. Sapere che i suoi ultimi compagni di dolore furono una pessima marca di liquore e barbiturici, mi annientò il cuore. Susana avrebbe meritato molto di più. Morì pensando che il meglio che aveva offerto al mondo era  lo stupro da parte di suo padre. Qualche giorno dopo lasciai Lisbona per sempre. Salpando dal porto, gettai tutte le foto che avevo di lei, eccetto quella sorridente fatta alla Torre di Belèm. Stava suonando la sua chitarra portoghese e, per non so quale motivo, quel giorno era felice. Quando ripenso a Susana, io muoio un po'.

sabato 3 luglio 2010

In metropolitana: tra cozze gratinate e vongole slanciate.

Qualche giorno fa ho assistito ad una cosa che oggi mi ha fatto pensare. Milano. Metropolitana. Sto viaggiando verso il centro. Il centro di cosa poi? Dopo qualche fermata salgono quattro ragazzine, si siedono di fronte a me. Ragazzine normali come tante altre. Confesso che io sono uno spione che adora ascoltare i giovani parlare. Ascoltare gli adolescenti di adesso mi fa capire la loro "velocità" rispetto al me stesso, alla mia generazione. Quando avevo quattordici anni, io pensavo a guardare Hazzard, T. J. Hooker, a giocare a calcio con gli amici all'oratorio. Adesso le nuove generazioni, alla stessa età, parlano del ragazzo figo in classe, se già non hanno da raccontare esperienze sessuali.

Una di queste, la più ciarliera del gruppo, era vestita in maniera molto "fescion" ma, anche, molto troppo oltre le sue possibilità. Un microminigonna in jeans, sopra dei leggins, con un top bianco con paiette colorate e un sandalo molto... sandalo. Tutto questo su un fisico di 1.60 m per, credo, più di 80 kg di simpatia, con tutte le conseguenze (rotolini cicciolosi) del caso in bella vista. Si stava vantando con le amiche dei sandali di Manolo(?), del top di Dolce e Gabbana, della gonna di Richmond. Praticamente indossava il doppio dello stipendio medio di un operaio. Le amiche, sullo stesso trend, la elogiavano. Oooh, cometistabeneiltop. Come seifigaconisandalidiManolo (?). Come tislancialaminigonna. 

Ora va bene tutto ma... Ammetto che la ragazzina, per quanto sembrasse un cetaceo in metropolitana, aveva un viso piacevole, con degli occhi molto belli ma, il suo abbigliamento, era completamente fuori luogo per il suo fisico. Le donne sono sicuro che hanno capito quello che ho scritto; per gli uomini ricorro ad un paragone calcistico. Alleni una squadra di brevilinei velocissimi e con una tecnica fenomenale. Devi affrontare dei caproni di 1.90, fortissimi fisicamente ma piuttosto lenti. Di certo non la metti sulla forza, giusto? Chiederai ai tuoi di giocare veloce negli spazi, palla a terra.

La ragazzina in questione, invece, l'ha messa sul fisico e le sue amiche, incosciamente la elogiavano. Era chiaro però che apprezzavano il capo in sé, non certo le doti dell'indossatrice. Il gruppeto chiaccherone e ridanciano, per un po', con al centro il cetaceo griffato, ha rallegrato la carrozza della metro. Poi, a Loreto, è salita una stangona con capelli mori, occhiali da sole scuri,  un fisico da paura che si è piazzata davanti al gruppetto che stava adolescendo. Il silenzio è caduto come una pietra addosso a Willy il coyote. La stangona era vestita come il cetaceo, forse meno griffata ma, senza dubbio, a lei la minigonna, i leggins e il top la slanciavano veramente. Forse perché non c'era niente che non fosse già slanciato di suo. Sulla ragazzina griffata si è materializzata una nuvola di silenzio e, forse, di pudore. Si era resa conto di essere scesa in campo, giocando con la strategia sbagliata. Si è incupita.

Io spero che l'esperienza le sia servita per conoscersi meglio, per capire che non ha bisogno di top firmati o scarpe di Manolo(?), per potere essere una persona. Tra l'altro il cetaceo griffato mi era pure simpatico, aveva la parlantina giusta, di quelle coinvolgenti senza risultare logorroica. Mi auguro che, tornata a casa, abbia ripensato profondamente a se stessa e al suo guardaroba fescion.

Al mondo ci sono le cozze e le vongole. E le cozze, se resistono alla tentazione di fare le vongole, sono in grado di esercitare un fascino irresistibile. Devono solo capire quale stategia o schema di gioco, meglio si adatta alle loro possibilità. In una pasta, cozze e vongole se la giocano in un match aperto a qualsiasi risultato. Le cozze gratinate, invece, hanno pochissime avversarie che possono impensierirle... men che meno le vongole. Ognuno ha la propria dignità, i propri punti di forza e il proprio fascino. Perciò ragazzine care, se siete un po' cozze, non snaturatevi, non fate le vongole. Non lo sarete mai. Guardatevi allo specchio e pensate a questa cosa: se posso essere una meravigliosa cozza gratinata perché devo atteggiarmi a insipida vongola?

Ma poi... chi cazzo è questo Manolo??!!

venerdì 2 luglio 2010

Oltre il giardino: la vita è uno stato mentale...

Ogni tanto è bene rispolverare vecchi film, libri, cd. Io l'ho fatto ieri con "Oltre il giardino", un film del 1979. E' una favola incredibile con un irresistibile Peter Sellers, questa volta però spogliato degli abiti comici. E' la storia normale, ma straordinaria, di un uomo; anche una fortissima critica alla società moderna condizionata, nel bene e nel male, dai media. Peter Sellers, è Chance, un uomo elegante che con i suoi modi garbati e gentili, il suo senso dell'umorismo e la sua schiettezza, conquista tutti, indifferentemente. Diventerà amico di un guru della finanza, dispenserà consigli al Presidente, farà innamorare di sé Shirley MacLaine, sarà considerato l'uomo più importante della nazione. Non voglio raccontarvi di più, vi rovinerei la sorpresa nel caso decideste di guardarlo. E' un film di trent'anni fa ma terribilmente moderno. Una disamina della funesta potenza della televisione, in grado di imporre dei protagonisti dall'oggi al domani; è un analisi del rapporto fra essere e apparire. E' molto di più di questo. Chance con le sue riposte bislacche e ironiche, in pochissimo tempo catalizza l'attenzione su di sè. Tutti vorranno avere consigli da lui ed è assurdo, perché Chance è un demente che non sa leggere né scrivere e la sua ironia è incapacità di comprendere le metafore, nascoste nelle domande. Uno dei dialoghi più divertenti e sarcastici:

Ronald Stiegler: Signor Giardiniere, col mio editore ci chiedevamo se a lei interesserebbe scrivere un libro per noi. Qualcosa sulla sua filosofia politica. Che ne direbbe?
Chance: Io non so scrivere.
Stiegler: Ah, meno male! Oggi sono tutti scrittori! Da noi si rischia di restare sepolti dai manoscritti. Eh... Ecco, noi le anticiperemmo una cifra con cinque zeri, e avrebbe la collaborazione di un grosso scrittore ombra, lettori professionali...
Chance: Neanche leggere.
Stiegler: Ma naturalmente! E chi ce l'ha più il tempo di leggere? Sì... si sbircia una rivista, si guarda la televisione...
Chance: Hm, hm. Ecco, a me piace guardare la televisione.
Stiegler: Ah, non ne dubito. Nessuno legge.

Chanche, però, ribalta la visione dello spettatore. Gli fa pensare che spesso la demenza è civiltà e, forse, la civiltà è demenza. Oppure non è nulla di tutto questo. In un mondo concentrato solo ad apparire e far soldi, un omino gentile che si preoccupa di una piantina, non deve essere per forza un demente. E se fosse un santo?

giovedì 1 luglio 2010

(unPOdiESIA): Voglia di te

E' nei momenti più strani 
Che ho voglia di te 
In momenti diametralmente opposti
Che fanno crescere dubbi 
Sul mio reale bisogno di te
Capita nei giorni di calura 
Che ricordano passeggiate 
Nei deserti sconfinati 
Alla ricerca di tende berbere
Quando la sete mi aggredisce furiosa 
Ed adagiandomi in un angolo all'ombra 
Mi viene voglia di te 
Ma anche nei freddi giorni invernali
Quando rientro a casa 
Cercando di scrollare il freddo 
Dal cappotto dai guanti dal maglione 
Ho profondamente voglia di te 
Con una fettina di limone
E due biscotti.