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venerdì 20 febbraio 2009

Lita

Non c'era niente in televisione, niente d'interessante. Come ieri, l'altro ieri e l'altro ieri ancora. “Solo bionde platinate con sguardi ammiccanti non bastano per tenermi incollato davanti al video” pensò. Spense e buttò il telecomando all'angolo opposto del divano. Cercò un libro ma si accorse di non essere in vena di leggere. Gironzolò un po' per casa, rimbalzando da una stanza all'altra, poi telefonò. “Lita? Ciao, sono io. Ti va di uscire? Ok, preparati fra 20 minuti sono lì”. Riattaccò senza attendere risposta. Prese le chiavi della macchina, si guardò allo specchio di volata - capelli troppo lunghi ormai - s'infilò la giacca e uscì. La strada scivolò lenta e piacevole, forse grazie anche alla musica che trovò alla radio: alcuni pezzi folk-punk irlandesi travolgenti alternati a ballate, sempre della stessa isola, dolci e suadenti. Arrivò. Scese dalla macchina senza spegnerla e suonò al citofono. “Sono io Lita, scendi”. Lei scese e si accomodò sul sedile. Si guardarono senza parlarsi e si baciarono. “Ciao” le disse. “Ciao bell'uomo” rispose lei “dove andiamo?” chiese ridendo. Lui non lo sapeva dove andare. E' che era in casa, non aveva sonno, alla televisione le solite cavolate per decerebrati, non era in vena di leggere e così eccolo lì. “Andiamo a bere qualcosa” disse come rassegnato. “Ok, bene” concluse lei. La macchina partì mentre la radio, ancora, zampillava di musica allegra e triste: una specie di fotografia di gruppo delle anime del mondo. Era come se stessero attraversando tutte le emozioni, le sensazioni dell'umanità: la frenesia totale, la calma serale, il pianto, il riso, la nostalgia, la speranza e la delusione. Un viaggio strano, anche leggermente pericoloso, che può portarti ovunque o in nessun luogo. La macchina scivolò via, lenta ma decisa, e si poteva sentire il vento sfiorare dolcemente il profilo di metallo. Lita era silenziosa, stranamente silenziosa. “Perché non parli?” le chiese cercando i suoi occhi “non stai bene?”. “Eh? No, no” gli rispose come svegliata da un torpore secolare. “A cosa pensavi?”. “Ai ricordi che non ho più. Non so se me li hanno rubati o se li ho persi” aggiunse sottovoce. La radio continuava a cantare mentre Lita aspettava un commento, una parola da bell'uomo che rimase in silenzio. Arrivarono al bar. Posteggiarono la macchina e scesero. Era una serata fantastica. Come il cuore del peggiore assassino, il cielo era di un nero profondo tempestato di stelle. Un forte vento aveva spazzato via tutte le nuvole, le foglie, forse i ricordi di Lita, ma non la sensazione di leggero disagio di entrambi. Appena scesa, Lita gli si avvicinò, e si fece abbracciare. Aveva un viso bello ma plasmato in una strana espressione.“Cosa c'è questa sera?” chiese lui “Ti trovo strana”. "Non lo so. E' che, porca miseria,” esplose Lita come un fiume in piena, tutto di un fiato “mi sembra di essere nata dal nulla proprio oggi con i miei 26 anni. Cioè capisci mi sembra di non aver vissuto fino ad oggi. Non ho ricordi, non ho nulla che mi parli di me, di quello che ho fatto ieri, ieri l'altro, un mese fa! Mi sembra di essere nata adesso, ma so che non è vero! So che è tanto, molto tempo che esisto”. Bell'uomo rimase lì, travolto da quelle parole, e si mostrò sorpreso. Il suo viso diventò implicitamente triste, quasi colpevole e, come cercando in una mareggiata di urli le parole giuste, la tranquillizzò provando a minimizzare: “Dai per un momento no, non farne una tragedia”. “Forse hai ragione” rispose Lita abbozzando un sorriso. Una folata di vento portò via la discussione e i due entrarono nel bar. C'era un cabarettista imitatore che, però, non imitava l'originale. Era il replicante dell'imitatore del sosia dell'originale. Si sedettero e consumarono. Dopo 10 sketches e due bicchieri a testa, Lita chiese: “Ma tu... mi ami?” “Sì! Ovvio” rispose lui veloce. Talmente veloce che qualsiasi donna gli sarebbe saltata al collo coprendolo di baci; ma non lei. Una lacrima blu-azzurra, forse verde dipinse gli occhi impossibili di Lita. “Che c'è adesso?” chiese bell'uomo. “La tua risposta” disse singhiozzando. “La mia risposta?” aggiunse lui sorridendo “la mia risposta è sì. Non ho nemmeno dovuto pensarci per rispondere” concluse rassicurandola. “Lo so” disse Lita “è proprio questo che mi da dolore. Hai risposto senza nemmeno pensarci. Che senso ha la tua risposta? L'amore. Hai risposto come se il barista ti avesse chiesto “vuoi il solito?” recitò. Rimase disarmato e, questa volta, non trovò nemmeno una parola in quella mareggiata di urli. Prese il bicchiere e lo svuotò. “Quando mi dirai la verità?” incalzò lei. Bell'uomo non poteva più sopportare gli occhi di Lita e fissò le sue mani nervose, le sue dita impazzite correre intorno al bicchiere. “Non so come incominciare” sospirò. Passo qualche minuto. Si poteva intuire adesso, dalla sua immobilità esterna, la confusione, il frastuono, la tormenta che gli stava fracassando il cervello. “Ho sempre avuto una grande fantasia,” iniziò lui con la testa appoggiata ai pugni “grandi pensieri, grande capacità di immaginare. Ho sempre fantasticato su tutto, su amici, genitori. Tutto. La fantasia è un grande dono, ma anche un dramma. Per colpa di questo talento” continuò ironico “non sono mai riuscito ad accettare gli altri. Capisci? Io immaginavo gente perfetta e quando mi trovavo nella vita reale, a scuola, al mercato, al bar, nessuno riusciva mai ad essere all'altezza dei miei modelli. Così, piano piano, mi sono rinchiuso in me stesso, mi sono aperto alla mia fantasia. Mi sono ritrovato solo un giorno, senza genitori, amici. Senza nessuno che potesse riflettere i miei sforzi fantastici” s'interruppe per un attimo. Intorno il bar si era svuotato. “Poi,” riprese “sei arrivata tu. Avevo bisogno di una donna per condividere i dolori o solo da guardare. Però, giorno dopo giorno, mi sei sfuggita di mano senza che me ne rendessi conto... almeno prima di questa sera. Ti avevo pensata per esserci quando ne avevo bisogno. Ti pensavo e arrivavi, mi aiutavi a superare il dolore e ritornavi nel nulla. Poi hai voluto che ti parlassi di quelle cose chiamate sentimento, amore, dolore, pianto ed io, scemo, te ne parlai. Non credevo che potessero portarti a diventare un problema. Questo l'ho capito solo adesso. L'amore, il dolore, il pianto diventano ricordi e tu sai cosa sono per sentito dire; ma non sai cosa fanno provare” disse alzando gli occhi vergognosi e puntandoli in quelli di lei. “Tu” continuò per liberarsi dal peso “hai sensazioni simili a ricordi ma senza l'anima che ti permette di rievocarli. Ti sono arrivati i riflessi dei miei sentimenti e si agitano in te, cercando di diventare ricordi. Questo non è possibile. Mi piacerebbe poterti regalare questa capacità ma non so come fare. Non so come cavolo tu abbia potuto arrivare ad assumere coscienza delle cose. Non so più niente a questo punto” terminò scoppiando in pianto. Aveva il viso fra le mani. Lita era di fronte a lui, finalmente serena. Sapeva che di lì a poco tutto sarebbe finito, ma aveva una piacevole tranquillità nei suoi occhi impossibili. Sembrava si stesse preparando per andare al mare. Una giornata di quelle stupende. Quando il sole asciuga velocemente, lasciandoti i segni bianchi del sale sulla pelle bruna. Era quasi assorta in chissà quali ricordi, ma non poteva essere così. Bell'uomo riprese singhiozzando “eri la mia fuga, il mio modo di colorare la vita, la mia tinta più bella. Saresti stata perfetta se solo avessi potuto avere ricordi. Sei frutto delle mie paure, del mio non saper essere. Tu sei piena di ricordi, dei miei ricordi che, però, sono fantasie, anzi, bugie perché te le ho spacciate per verità. Ti ho usato come un foglio di carta, sede del mio pensare; ma tu poi hai preso coscienza, hai preso vita. Puoi leggerti ma non capirti. Scusami Lita, ti prego, ma tu non dovresti esistere” concluse. In quello stesso momento, Lita sparì. Sparì veramente, in modo inspiegabile come era arrivata, nata, cresciuta, creata. Sparì e con lei tutti i ricordi di bell'uomo che rimase seduto al tavolo, forse di un bar, immerso nel buio. Aveva un'espressione strana in viso: assorta, amara. Gli si avvicinò una ragazza che si sedette al tavolo con fare di chi ti conosce da tempo. “Cosa c'è? E' da quando sono venuta a prenderti che non parli” disse. “Non lo so” rispose bell'uomo “questa sera ha un sapore amaro. Mi sembra di non avere più ricordi. Non so se me li hanno rubati o se li ho persi”. La donna rimase zitta, abbassò lentamente il viso che si dipinse di spaventata consapevolezza.


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